I Classici da rivedere #7: L’Anabasi dei Warriors nella notte di New York City – I guerrieri della notte (W.Hill, 1979)

del prof. Lucio Celot

Nel marzo di quest’anno è tornato per una settimana nelle sale, completamente restaurato dalla Cineteca di Bologna (che il dio di tutti i cinefili l’abbia in gloria!!!) nella sua versione originale: un cult assoluto, uno dei film-manifesto della New Hollywood che ha segnato profondamente l’immaginario pop degli anni a venire. The Warriors di Walter Hill mescola l’action-movie con il western, rilegge l’Anabasi di Senofonte senza pretese sociologiche o moralistiche e la ambienta nella New York della deregulation economica, tra degrado urbano e criminalità incalzante, facendone un autentico teatro di guerra tra le gang.

La storia è nota: i Warriors, come tutte le altre gang giovanili della Grande Mela, partecipano con alcuni rappresentanti al grande raduno nel Bronx voluto dal capo dei capi, Cyrus, che propone l’alleanza tra le bande per conquistare, uno dopo l’altro, tutti i quartieri di New York e diventare i padroni della città. Uno psicopatico uccide senza motivo apparente Cyrus con un colpo di pistola e, nel marasma che ne segue, incolpa proprio i Warriors dell’omicidio. Gli otto ragazzi dovranno ritornare precipitosamente a Coney Island, il loro quartiere distante cinquanta miglia dal Bronx, affrontando nella fuga i poliziotti e le gang che vogliono vendicarsi. Solo alla fine della lunga notte, alle prime luci dell’alba, la verità verrà ristabilita, la vendetta consumata e i Warriors, recuperate dignità e credibilità, potranno riprendere il posto che spetta loro negli equilibri di potere nelle strade di NYC.

Girato da Walter Hill in sessanta notti, quasi tutto in esterni e con una fotografia esasperatamente realistica, manifesto e summa di tanto “cinema metropolitano” (da Il braccio violento della legge di Friedkin fino a 1997: fuga da New York di Carpenter), il film ebbe un’uscita contrastata a causa di episodi di violenza e vandalismo che si verificarono nelle settimane successive, tanto che la produzione dovette sospendere la pubblicità e molte sale assunsero altro personale addetto alla sicurezza (la stessa esperienza l’aveva già fatta Kubrick in Inghilterra quando uscì A clockwork orange); eppure, nonostante l’accoglienza non proprio entusiastica della critica (un balletto di violenza maschile stilizzata, scrisse il “Chicago Sun-Times”), The Warriors incassò alla sesta settimana di programmazione più di sedici mln di dollari, contro i sei spesi per realizzarlo.

L’Anabasi, dunque: nel romanzo di Sol Yurick da cui Hill prende spunto c’è un ragazzo che legge un fumetto sugli antichi greci. È l’immagine che ispira il regista, che si mantiene fedele alla struttura dell’opera di Senofonte: il capo della gang muore all’inizio del film, i Warriors incontrano una banda di ragazze, le Lizards, che tentano di adescarli e il finale è girato tutto sulla spiaggia di Coney Island, davanti al mare (thalassa, thalassa!, gridano i sopravvissuti dei Diecimila a Trebisonda) esattamente come,  mutatis mutandis, nel resoconto dello scrittore che aveva partecipato in prima persona alla fallimentare quanto epica impresa. Alla linearità della narrazione di Senofonte corrisponde l’estrema stilizzazione della pellicola, soprattutto nelle coreografie dei combattimenti corpo a corpo (e certamente Hill aveva presente West Side Story) e nella fluidità della narrazione, scandita da una serie di “stazioni” (quelle della metropolitana sono, evidentemente, solo una metafora) che il gruppo deve attraversare per riguadagnare casa e autorevolezza agli occhi altrui. E, certamente, la “ritirata” degli otto ha consentito loro anche di acquisire una buona dose di autoconsapevolezza, se è vero che l’improvvisato capo (un giovanissimo Michael Beck), appena sceso dal vagone che lo ha riportato sano e salvo all’altro capo della città, si guarda attorno, realizza lo squallore del “suo” quartiere e gli esce uno sconfortante Abbiamo combattuto tutta la notte per questo???

Nel pieno rispetto delle unità aristoteliche, I guerrieri della notte è, anche, un viaggio nella notte della città, fatta di luci al neon, graffiti, strade deserte, stazioni della metro che paiono abbandonate dagli uomini; una città abitata e percorsa da figure che vivono vite improntate ad un’etica di gruppo e da codici morali che non sono, evidentemente, quelli del buon borghese (si veda il momento in cui quattro “bravi ragazzi” reduci da una festa salgono sulla metro e si siedono di fronte agli sfiniti Warriors: non ci sono dialoghi ma solo occhiate, imbarazzate da una parte, fiere e provocatorie dall’altra…una sequenza che vale da sola tutta la filosofia del film) ma che rappresentano l’unica forma di difesa dei forgotten, degli “spodestati”, delle donne e degli uomini “del sottosuolo” in una città che è come lo stato di natura di hobbesiana memoria.

Coney Island, i Warriors sono di nuovo a casa

E dunque, niente moralismo o, peggio, nessun intento moraleggiante, tantomeno nessuna pretesa di fare sociologia della violenza giovanile: solo cinema puro, azione, eroi braccati che devono salvare la pelle e per i quali facciamo il tifo. Sarà anche vero che, ormai, l’aggettivo “mitico” è inflazionato e usato spesso a sproposito: ma non ce n’è un altro che possa adeguatamente dire cos’ha rappresentato questo film per la generazione di adolescenti che, all’epoca, si affacciava sul decennio successivo.

I Guerrieri della Notte (The Warriors)

Regia: Walter Hill 

Distribuzione: USA 1979 (col., 92 min.)

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