I mondi incantati di Miyazaki #2 Benvenuti alle sovrannaturali terme di Yubaba! – La Città Incantata (H.Miyazaki, 2001)
del prof. Lucio Celot
Orso d’Oro a Berlino e 4 Annie Awards nel 2002, Oscar 2003 per il miglior film d’animazione, La Città Incantata è unanimemente riconosciuto come il capolavoro del Maestro Miyazaki, nonché il film giapponese che in patria ha ottenuto al botteghino gli incassi più alti di sempre. Uscito più di vent’anni fa, l’anime ha definitivamente dissolto la linea di demarcazione tra film d’animazione per bambini e film per adulti, anche in considerazione del significato profondamente allegorico che assume la storia di Chihiro, in cui convergono i temi più cari a Miyazaki: la nostalgia dell’infanzia, il rapporto tra le generazioni, l’ecologia, le ansie e le paure irrazionali del coming of age, il folklore e le tradizioni del paese del Sol Levante, i legami arcani tra dimensione fisica e spirituale, la critica agli aspetti deteriori della modernità e del capitalismo globalizzato. La consueta e maniacale attenzione per le inquadrature, per i fondali e per i dettagli anche apparentemente insignificanti conferiscono agli universi di Miyazaki il loro inconfondibile mood, in cui l’iperrealismo si fonde perfettamente con il fantastico grazie anche alla colonna sonora del collaboratore storico dello studio Ghibli, Joe Hisaishi che, nella Città incantata, dà il meglio di sé con l’uso di melodie minimaliste al pianoforte (accompagnato dalla New Philarmonic Japan Orchestra) che accarezzano con discrezione tutte le corde dell’emotività. Insomma, incanto e musica per le orecchie, oltre che per gli occhi.
La piccola Chihiro, dieci anni, è l’ennesima bambina di Miyazaki dotata di volontà ferrea, determinazione, capacità di fare fronte all’irruzione dell’imponderabile tenendo assieme raziocinio e disponibilità alla meraviglia: quando si trova sperduta in un misterioso complesso termale che ospita Divinità e Spiriti della tradizione nipponica, perdipiù dopo che i suoi genitori sono stati trasformati in maiali, Chihiro è costretta a lavorare per Yubaba, la strega-padrona del complesso che comanda a bacchetta tutti gli strani impiegati e addetti all’accoglienza e alla cura dei mostruosi e inquietanti ospiti delle terme. Dopo un primo, comprensibile, momento di sbandamento e terrore, la piccola Chihiro, che assume il nome di Sen (Yubaba domina e controlla i suoi subordinati sottraendo loro la memoria del vero nome, secondo una tradizione giapponese che Miyazaki riprende), fa di necessità virtù e, aiutata dall’uomo-ragno Kamaji, tanto inquietante quanto premuroso, dalla lavorante Lin, dal misterioso Haku e da un kaonashi, Spirito Senza Volto che si affeziona a Chihiro, si farà apprezzare per la sua intraprendenza e sensibilità fino allo scioglimento finale. Quando ritrova i genitori in forma umana, Chihiro è sì ancora una bambina; ma l’esperienza ad Aburaya l’ha resa indipendente, autonoma, intraprendente, consapevole di potere guardare il mondo in faccia senza paura. Un mondo in cui possono aprirsi all’improvviso varchi insospettati verso dimensioni fantastiche ricche di possibilità bizzarre e, al contempo, seduttive e affascinanti.
Poco importa la trama per un regista che ha l’abitudine di non scrivere la sceneggiatura e dichiara che “l’immagine ha la priorità sulla parola”: le invenzioni di Miyazaki vanno viste, l’immaginazione del regista va oltre l’immaginabile: valga, per tutte, la sequenza in cui Chihiro deve ripulire quello che all’apparenza sembra un enorme e informe Dio-Putrido, fatto di melma e escrementi, che sconvolge con la sua presenza e il suo pestilenziale odore tutto il personale delle terme ma che, in realtà, è lo spirito di un Fiume che Chihiro riesce a liberare e ripulire da tutta la spazzatura che lo inquina. Qui, l’estetica del mostruoso di Miyazaki raggiunge livelli insuperabili, e non a caso: il mondo marginale, alternativo e utopico delle terme, in cui convivono Umani, Spiriti, Mostri e Demoni dell’affollato pantheon orientale, è il palcoscenico ideale in cui mettere in scena il solidarismo, l’umanesimo e l’ecologismo di Miyazaki, laico deluso tanto dalle religioni a carattere trascendente quanto da quelle ideologiche e mondane che hanno caratterizzato il Novecento; la coppia adolescente/mostro, qui come in altri film (Nausicaa, Il mio amico Totoro, Ponyo sulla scogliera, Principessa Mononoke), è funzionale alla scoperta di sé e dell’alterità, dimensioni entrambe necessarie alla costruzione dell’identità delle giovani protagoniste.
E allora, entriamo anche noi, insieme a Chihiro-Alice, in questo paese delle meraviglie e della non-azione, in cui a rilassarsi e a prendersi un po’ di tempo per sé non sono esseri umani ma kami, yōkai, bakemono e altre improbabili creature con cui vivremo per un paio d’ore una magica e salutare sospensione del tempo affannato che tiranneggia le nostre vite. Senza fretta, tanto lo sappiamo, lo stress e l’ansia quotidiani sono lì, dietro l’angolo ad aspettarci…
La Città Incantata (Sen to Chihiro kamikakushi)
Regia: Hayao Miyazaki
Distribuzione: Giappone 2001 (anim., col., 125 min.). Disponibile su Netflix