In viaggio verso l’abisso: vite e morti sull’Orient Express

del professor Lucio Celot

A.Christie, Murder on the Orient Express (1933)
G.Greene, Stamboul Train (1932)

Se due grandi della letteratura inglese e del Novecento tout court scrivono a distanza di un anno l’uno dall’altro due romanzi – diversissimi tra loro – entrambi ambientati sul mitico Orient Express, un motivo, o forse più d’uno, ci dovrà pur essere. Partiamo dal “genere” in cui è possibile incasellare le due opere, e cioè il giallo che, a partire dalla fine dell’Ottocento aveva già trovato e fidelizzato un proprio vasto pubblico e che divenne autenticamente “popolare” negli anni Venti e Trenta dello scorso secolo. Tra le due guerre, l’epoca d’oro del giallo è scandita dalle opere della stessa Christie (le imprese di Hercule Poirot), di Chesterton (Padre Brown), di Biggers (Charlie Chan), di Maugham (l’agente segreto Ashenden) e di Ellery Queen. Sebbene scritte a proposito di Greene, le parole dell’anglista P.Bertinetti che seguono calzano perfettamente anche al lavoro della “regina del giallo”: […] formidabile inventore di trame, di vicende percorse da una fortissima suspense che incatena il lettore, rendendolo avidamente desideroso di passare all’episodio successivo, nell’attesa quasi bruciante di conoscere la conclusione della storia. Certo, Greene e la Christie non potrebbero essere più diversi, per formazione, biografia, ascendenze e riferimenti letterari più o meno “nobili”, finalità del proprio lavoro, tecnica di scrittura: ma non c’è dubbio sul fatto che entrambi abbiano saputo accogliere nella propria produzione romanzesca aspetti e meccanismi della letteratura più “moderna” (e non modernista) del loro tempo.

            E poi c’è il fascino seduttivo dell’esotico e dell’avventuroso, rappresentato dal mitico treno di lusso che collega Parigi a Costantinopoli attraversando l’Europa e i Balcani fino alle porte dell’Asia in un decennio che corre dritto e spedito verso l’ennesimo suicidio del mondo occidentale: l’Orient Express (“re dei treni e treno dei re”, “tappeto magico per l’Oriente”), inaugurato nel 1883, metafora fin troppo evidente della corsa verso un altro iceberg che attende un’umanità impaurita e rassegnata al proprio destino di autodistruzione. Il povero, demente e inascoltato Nietzsche aveva già scritto in un suo frammento l’unica epigrafe possibile alla Storia del Novecento: Tutta la nostra cultura europea si muove già da gran tempo con una tensione torturante che cresce di decennio in decennio, come se si avviasse verso una catastrofe: inquieta, violenta, precipitosa. Le destre xenofobe, razziste e antisemite si stanno già muovendo in tutta Europa quando Greene e la Christie scrivono i due romanzi; i delitti che si consumano dentro e fuori i wagons-lits durante il lungo viaggio sotto la neve sono figura di quanto si sta preparando nel mondo, dell’oscurità in cui l’Europa sta per precipitare al passo dell’oca. L’Orient Express come canto del cigno della civiltà.

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            Graham Greene (1904-1991), uno dei maggiori scrittori inglesi del Novecento, fece dire ad uno dei suoi personaggi che “lo scrittore è come una spia” e la cosa è tanto più vera per lui che spia (anzi, secret agent) lo fu davvero per qualche anno al servizio di Sua Maestà nell’MI6, il Secret Intelligence Service, ovvero il servizio segreto per l’estero (suo supervisore era Kim Philby, il celebre double-agent che fuggì in Unione Sovietica nel 1963: qui la nostra recensione sulla serie tv che ne racconta la vicenda). Il treno per Istanbul è il suo primo successo di pubblico e critica, scritto con la precisa volontà di ottenere il consenso dei lettori e venderne i diritti cinematografici: il cinema adattò tantissimi romanzi di Greene (in verità, con risultati alterni) e contribuì ad aumentare la popolarità dello scrittore. A differenza del romanzo della Christie, il viaggio dell’Orient Express narrato da Greene si svolge da Occidente a Oriente e termina in un ristorante di Istanbul; ma, come nell’avventura di Poirot, il treno si ferma per cause di forza maggiore sparigliando i destini dei protagonisti, magistralmente manipolati dalla scrittura del “manovratore” Greene. Ci sono il misterioso dottor Czinner, che scopriremo essere un rivoluzionario comunista, idealista e sognatore sconfitto, che si sta recando a Belgrado per un tentativo di sollevazione popolare, la ballerina Coral Musker, povera reietta affamata d’amore, e Myatt, l’uomo d’affari ebreo, vittima dell’antisemitismo montante, che offre aiuto a Coral ma poi la seduce nel proprio vagone-letto e la abbandonerà per sposare un’altra. Ostenda, Colonia, Vienna, Subotica, Costantinopoli sono le tappe di un itinerario obbligato che vedrà, tuttavia, deragliare e consumarsi molte vite nella cornice del tempo storico e psicologico del 1932, ben rappresentato da Greene attraverso le uniformi di polizia e soldati, le frontiere che si attraversano, la paura della povera gente nei confronti di chi esercita un’autorità o la circospezione dell’ebreo Myatt nel muoversi e parlare. Appassionato di cinema, Greene scrive un romanzo a cavallo tra melodramma e thriller più di movimento che di parole, come se si trovasse dietro la macchina da presa seguendo i personaggi e il paesaggio che li circonda (innevato, plumbeo, freddo) e senza mai dimenticare la lezione dei suoi tre maestri riconosciuti, Conrad (l’avventura), James (la tecnica del punto di vista), Maugham (il thriller elevato a dignità letteraria).

Graham Greene

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            Agatha Christie (1890-1976), a differenza di Greene che agli inizi degli anni ’30 era ancora alla ricerca di una propria strada, scrive Assassinio sull’Orient Express quando Poirot era sulla scena da quasi vent’anni (Poirot a Styles Court è del 1916) e aveva già un pubblico di lettori più che affezionati. È ancora il caso di raccontare, anche per sommi capi, la vicenda dell’omicidio dell’ambiguo Ratchett, ucciso nel suo vagone letto durante la tratta Istanbul-Belgrado? Degli indizi disseminati sulla scena del crimine? Delle testimonianze che convergono tutte sulla presenza a bordo di un misterioso addetto alla carrozza piccolo, di carnagione bruna e calvo? Dell’uniforme senza il bottone? Del fazzoletto con la lettera H? E, infine, della doppia soluzione del caso offerta da Poirot alla variegata umanità della carrozza dove si è consumato l’efferato delitto (12 coltellate!!!)? Pensiamo proprio di no, tanto è famoso il romanzo, la sua architettura, il suo scioglimento, il dilemma morale con cui si conclude. Piuttosto, vale la pena notare che anche nel caso della Christie, aldilà della “leggerezza” dell’entertainment, dell’originalità della trama e delle progressive scoperte di Poirot che gli consentiranno la sbalorditiva rivelazione finale, Murder on the Orient Express lascia poco spazio all’ottimismo, tutto teso com’è tra il passato delle vite dei viaggiatori, accomunate da un unico, straziante dolore, e un presente di omertà, inganni e menzogne con cui Poirot dovrà confrontarsi. Come spesso accade, Legge e Giustizia non coincidono ed è forse proprio questo l’autentico movente dell’assassinio che si consuma silenziosamente sotto la neve dei Balcani. Un’ultima osservazione sul “metodo Christie”, che nel romanzo funziona perfettamente: indagine e inganno, sapientemente bilanciati nella giusta proporzione, consentono al lettore di seguire l’indagine insieme a Poirot, di esaminare gli indizi, di assistere agli interrogatori nel vagone ristorante, di condividere con il piccolo belga la percezione dei fatti con chiarezza e coerenza. Ma fino a un certo punto: perché l’abilità della Christie sta nel fare divergere, alla fine della vicenda, il percorso di Poirot e quello del lettore, quest’ultimo incapace, sulla base degli indizi raccolti, di fare ciò che invece sa fare Poirot, e cioè adottare la giusta prospettiva che gli consente di individuare il legame logico tra frammenti apparentemente sconnessi tra loro. È questa tensione tra l’attività dell’investigatore e quella del lettore a fare della lettura di (quasi) tutti i romanzi della Christie un’esperienza gratificante e, scrive Pierre Lemaitre, “così deliziosamente desueta”.

N.B.: se proprio volete, l’unica trasposizione cinematografica del capolavoro della Christie che valga la pena è quella di Sidney Lumet del 1974, con un Albert Finney strepitoso nel ruolo di Poirot e un cast stellare (Laureen Bacall, Vanessa Redgrave, Ingrid Bergman, Sean Connery, John Gielgud, Anthony Perkins); lasciate perdere quella del 2017, altrettanto fastosa quanto a cast ma spesso poco fedele all’originale a causa del bisogno di Kenneth Branagh di “movimentare” la trama. Non parliamo, poi, degli improbabili baffi di Poirot…

Agatha Christie

Graham Greene, Il treno per Istanbul, Sellerio 2019

Agatha Christie, Assassinio sull’Orient Express, Mondadori 2023

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