La postdemocrazia? Niente paura, è solo un buon analgesico… (Byung-chul Han)
del prof. Lucio Celot
Filosofo tedesco di origini sudcoreane, Byung-chul Han da tempo si è imposto nel panorama filosofico internazionale come un attento osservatore della società neoliberista e delle sue patologie. Studioso di Heidegger, con una formazione teologica, Han ha pubblicato nel 2020, in piena pandemia, un breve saggio dal titolo La società senza dolore. Perché abbiamo bandito la sofferenza dalle nostre vite (Einaudi 2021), un’acuta riflessione, senz’altro stimolata dalla diffusione su scala mondiale del coronavirus, sull’algofobia, cioè sulla paura generalizzata del dolore. Non essendo questa la sede opportuna per una recensione analitica del libro, ci si soffermerà sulla dimensione più propriamente politico-antropologica del fenomeno.
Tra i tanti meriti intellettuali di Hannah Arendt c’è sicuramente anche quello di avere contribuito a liberare la filosofia dell’antica Sofistica dalla sua demonizzazione ad opera di Socrate e Platone; anzi, dice la Arendt negli scritti raccolti in Che cos’è la politica?, i Sofisti, lungi dall’essere “cattivi maestri”, hanno avuto il merito di trasferire nel campo dell’agone politico-dialettico lo spirito agonistico e guerriero cantato da Omero; in una parola, siamo debitori ai Sofisti dell’idea che la democrazia si nutre e vive attraverso il conflitto, lo scontro (sia pure ideologico e dialettico). Ora, ed è questa l’argomentazione di Han, scontro e conflitto significano dolore, lotta per la difesa della propria argomentazione, difesa contro l’imperversare dell’Uguale, confronto con l’Altro, accettazione del negativo. Di fronte alla mera possibilità del dolore, all’insorgere dell’algofobia, scattano i meccanismi analgesici di difesa volti ad anestetizzare le nostre esistenze, a confinare l’esperienza del dolore in spazi sempre più ristretti, fino al suo totale annullamento.
Sul piano più specificamente politico (ma Han si sofferma, nel corso della trattazione, anche su quello estetico, economico ed etico), la rincorsa all’anestetizzazione della vita significa rinuncia alla discussione, alla lotta per le proprie opinioni, prona accettazione delle logiche del sistema, che nel nostro tempo sono quelle del neoliberismo. La “società senza dolore” produce una democrazia palliativa, versione del terzo millennio di quella che Colin Crouch definiva già vent’anni fa la “postdemocrazia”, forma svuotata e – ossimoricamente – elitaria della democrazia. I nazionalismi e i populismi con cui facciamo i conti negli ultimi anni anche nel cuore dell’Europa unita sono il prodotto, secondo Han, della paura di una politica delle riforme che, in quanto incisiva e trasformatrice, cioè conflittuale, fa paura. L’algofobia produce spoliticizzazione, crea un vuoto geopolitico che viene immediatamente riempito da forme di potere che sottomettono al pensiero unico: la rivoluzione si rovescia in depressione.
Anche i social hanno la loro parte di responsabilità nella costituzione di un mondo anestetizzato: si scrivono post su Facebook, si producono storie su Instagram per ottenere un like, per piacere e com-piacere; le nostre vite, così come le rappresentiamo sui social, devono essere instagrammabili, prive di asperità, piacevoli all’occhio; ma non basta, perché anche la politica si fa smart: l’uomo pubblico, nuovo demagogo, non si presenta come il “buon medico” auspicato da Platone, che somministra medicine amare per la cura della polis, ma come il “pasticcere” ben felice di essere al servizio dei desideri infantili del popolo anestetizzato.
Siamo di fronte ad un tradimento delle nostre radici, sembra dirci Han: sebbene figli della cultura greca, di un pensiero che costantemente rimarca la natura ontologicamente doppia e conflittuale del mondo e dell’uomo, ignoriamo scientemente il pàthei màthos di Eschilo, preferiamo dimenticare che lo spirito è dolore e vivere in un confortante e rassicurante dormiveglia.
Byung-chul Han, La società senza dolore. Perché abbiamo bandito la sofferenza dalle nostre vite (Einaudi 2021)
Grazie, come al solito, per le curiosità che susciti e per gli input che ci regali