I venti minuti di Lola come in un videogame – Lola Corre (T.Tikwer, 1998)

del prof. Lucio Celot

Una delle caratteristiche ormai assodate e riconosciute del cinema del terzo millennio è quella di andare “oltre se stesso”, ovvero di non escludere dallo specifico cinematografico quelle forme di ibridazione con altri media che costituiscono l’ampio campo della cosiddetta “transmedialità”, fenomeno legato alla digitalizzazione della cultura di massa e studiato da Henry Jenkins nel suo fondamentale saggio Cultura convergente (2007, qui l’introduzione di WuMing all’edizione italiana). In particolare, inglobando in sé il linguaggio dei videogames, il cinema ha la possibilità di aprirsi nuovi scenari nello storytelling, tra cui quello di potere “riavvolgere il tempo” su se stesso e ricominciare all’infinito la stessa storia, esattamente come fa il giocatore che, nell’esperienza videoludica, può tentare e ritentare di raggiungere lo scopo del gioco ripercorrendo (in teoria all’infinito) lo stesso iter ad ostacoli facendo tesoro degli errori commessi nei precedenti tentativi.

È quello che accade, ma nella vita reale, alla protagonista del film del 1998 di Tom Tikwer Lola corre, una pellicola di successo che ha rappresentato la rinascita del cinema tedesco “post-muro”: Lola ha venti minuti di tempo per raggiungere il fidanzato Manni che si è messo nei guai perdendo una borsa con 100.000 marchi che avrebbe dovuto consegnare al criminale per cui lavora. La ragazza inizia così la sua corsa nelle strade di Berlino per raggiungere Manni e impedirgli di rapinare una banca, estremo e disperato tentativo di recuperare la cifra perduta: esce di casa, incontra il vicino con il cane ringhioso, tenta di estorcere il denaro al padre funzionario di banca mentre discute con l’amante incinta nel proprio ufficio, continua la corsa a perdifiato, incontra ciclisti, camionisti, rischia di essere investita, raggiunge Manni…

Non si può dire di più della trama, ma quando al primo tentativo le cose non vanno proprio bene, allora la storia ricomincia: la seconda corsa da casa fino a Manni incontra gli stessi ostacoli e le stesse complicazioni da affrontare ma qualcosa di impercettibile cambia nelle piccole esistenze di Lola e di quelli che incontra nei venti, interminabili minuti in cui si concentra tutta la storia…e ancora Lola, autentica signora del tempo e dei destini altrui, si ritrova per la terza volta a correre a perdifiato fino a che “il livello” della vita reale verrà superato.

Un film che, nemmeno a dirlo, fa della velocità la propria cifra: velocità nell’uso della m.d.p. a mano (attenzione: nausea in agguato per i più sensibili!), nel montaggio jumpcut da videoclip, nel ritmo sincopato della colonna sonora ritmata e ossessiva, nel disinvolto uso ibrido di media per raccontare la vicenda (cartoni animati, istantanee in rapida successione), nelle variazioni cromatiche che segnano la discontinuità tra un reload e l’altro; i primi piani di Lola (una bravissima e atletica Franka Potente, un cognome che è tutto un programma), il suo viso sudato e perennemente stralunato, i capelli rossi scarmigliati e le Dr.Martens ai piedi (ma come fa a correre così veloce???) ne fanno un’icona indimenticabile in un film che ha saputo guardare oltre le regole della narrazione lineare.

Che “oggetto” è allora Lola corre? Un film? Un videogame? Un videoclip di ottanta minuti? Ostinarsi a cercare definizioni per distinguere e differenziare ambiti mediali diversi ma “convergenti” significa essere rimasti indietro: bisogna mettersi a correre per recuperare il terreno perduto. Veloci, come Lola.

 

Lucio Celot

 

Lola corre (Lola rennt)

Regia: Tom Tikwer

Distribuzione: Germania 1998 (col., 81 min.)

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