I mondi incantati di Miyazaki #3 Si può ancora sognare nell’epoca della Tecnica? – Si alza il vento (H.Miyazaki, 2013)

del prof. Lucio Celot

Si alza il vento. Bisogna tentare di vivere: la citazione da Le cimitière marin di Paul Valéry è il mantra che accompagna tutto il film e la vita di Jiro Horikoshi (1903-1982), l’ingegnere giapponese che progettò e costruì il famoso caccia “Zero”, l’aereo che l’Impero del Sol Levante utilizzò durante il secondo conflitto mondiale. Per il suo undicesimo lungometraggio il Maestro Miyazaki decide di raccontare una vita vera, quella dell’ingegnere che sognava di dare forma ai propri sogni e di condurre il proprio paese sulla strada della Modernità, affrancandolo una volta per tutte dal complesso di inferiorità tecnologica nei confronti dell’Occidente. Nel presentare il film a Venezia, Miyazaki comunicò anche la sua intenzione di ritirarsi dall’attività di cineasta: decisione su cui poi è ritornato, tanto che quest’anno è uscito Il ragazzo e l’airone; ma ciò non toglie che Si alza il vento abbia il sapore di un testamento spirituale con cui Miyazaki avrebbe voluto congedarsi dal suo pubblico.

Il Sogno e il Volo, è questo il binomio su cui il regista ricostruisce la vita di Horikoshi a partire dall’autobiografia dell’ingegnere, a cui Miyazaki affianca un altro libro, Si alza il vento di Tatsuo Hori, una storia ambientata in un sanatorio giapponese che segue il destino di una donna malata di tubercolosi. Il desiderio di volare, il sogno di innalzarsi al di sopra delle umane miserie, che già era stato al centro di Porco Rosso (qui la recensione di Pausacaffè), non può fare a meno dell’ausilio della tecnica per realizzarsi, una tecnica che, per quanto Horikoshi tenti di non disgiungere mai dalla Bellezza, comporta sempre il rischio di un suo utilizzo per altri fini, in particolare quello bellico.

Horikoshi è raccontato da Miyazaki alternando costantemente la realtà al sogno: fin da bambino, Jirō sogna di incontrare il Conte Giovanni Battista Caproni (1886-1957), il leggendario progettista italiano di tanti storici velivoli che lo sollecita e lo spinge a perseguire il proprio sogno, quello di costruire l’aereo perfetto. Caproni è il Maestro ideale (“Il vento soffia ancora, ragazzo giapponese?”), colui che, sia pure avvolto in una dimensione quasi mitica, onirica e irreale, sollecita costantemente Jirō a perseguire la propria passione per la progettazione degli aerei in un Giappone arretrato tecnologicamente, all’inseguimento affannoso della τέχνη e dell’industria occidentali. Così, sotto la guida spirituale di un così insolito mentore, Jirō studia a Tokyo e ben presto entra alla Mitsubishi, la celebre industria aeronavale giapponese, dove viene apprezzato per il suo genio e la sua originalità di progettista. Durante il terribile terremoto del Kantō, che nel 1929 distrusse Tokyo, Horikoshi incontra anche la giovane Nahoko, bella ma fragile e malata, che diventerà sua moglie e lo sosterrà nei reiterati e testardi tentativi, molti dei quali frustrati, di dare corpo e struttura ad una “macchina volante” che coniughi affidabilità, velocità ed estetica.

Condensato di un’intera carriera ispirata al vento, al volo e alla leggerezza, Si alza il vento è il punto più alto della riflessione di Miyazaki sull’ambiguità del “sogno prometeico” umano, quello della tecnica, strumento di emancipazione e libertà da un lato, pericolosa forma di alienazione da sé e dalla Natura dall’altro; la macchina diventa ordigno, la bellezza pura di un profilo alare si rovescia in capacità distruttiva. È questo il destino del Mitsubishi A6M, lo “Zero”, il micidiale caccia sfruttato dalla Marina Imperiale giapponese durante la guerra nel Pacifico, quando centinaia di kamikaze lo utilizzeranno per le loro missioni suicide sulle navi americane. I segnali di questo pericolo incombente, del rischio che anche l’umano venga “tecnicizzato”, che divenga esso stesso “produzione” sono disseminati numerosi lungo il percorso esistenziale di Jirō: in una delle sequenze oniriche, Caproni indica una schiera di aerei nel cielo dicendo che “vanno a incenerire una città” e non ne tornerà nemmeno la metà; il simpatico tedesco che Jirō incontra, Hans Castorp (per inciso, lo stesso nome del protagonista de La montagna incantata di Mann, altro imprescindibile romanzo sul “mal sottile” e sulla vigilia di un’altra guerra mondiale, la Prima), forse un dissidente, forse una spia, dichiara senza mezzi termini che “il Giappone scoppierà. E anche la Germania scoppierà. Bisogna fermarla”; infine, in un’ultima visione un intero cimitero di aerei giace ai piedi di Jirō. C’è, insomma, nel lungometraggio di Miyazaki, un altro vento che spira, quello della Storia, cui nessuno può sottrarsi: il fluire delle nostre, piccole vite nell’impermanenza del mondo (concetto fondante della cultura zen giapponese) confluisce nel Tempo impetuoso della politica e delle sue priorità. Ed è proprio in questa sorta di interregno, in questo transito tra le due dimensioni, tra il peso della gravità che ci trattiene a terra e il desiderio di librarci nell’aria e di “staccare l’ombra da terra” che dobbiamo cercare di vivere, esistere e resistere.

 

Si alza il vento (Kaze tachinu)

Regia: Hayao Miyazaki

Distribuzione: Giappone 2013 (anim., col., 126 min.). Disponibile su Netflix

 

Per saperne di più:

M.Boscarol (a cura di), I mondi di Miyazaki. Percorsi filosofici negli universi dell’artista giapponese, Mimesis 2023

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