I Classici da rivedere #13 Dopo la Bomba tornerà il Messia-Bambino a Neo Tokyo? – Akira (K.Ōtomo, 1988)

del prof. Lucio Celot

Più che un classico, un cult assoluto. Akira rappresentò, nel lontano 1988, la presa di consapevolezza per noi occidentali che i cosiddetti “cartoni” giapponesi non erano solo i robottoni giganti di Goldrake e Mazinga ma un’autentica forma d’arte che poteva parlare anche agli adulti di questioni essenziali ed epocali come la guerra, il pericolo del nucleare, l’alienazione giovanile, il rapporto uomo-macchina, il controllo poliziesco e il rischio totalitario, l’uso bellico della tecnologia, la responsabilità morale della scienza. Akira fu, per l’epoca, un’opera titanica, un kolossal dell’animazione: 10 compagnie di produzione riunite in cartello, un miliardo di yen di budget, 1300 tra disegnatori e animatori, accordi con i sindacati per una lavorazione 24 ore su 24 compresi i giorni festivi, immagini dense, dinamiche, ricche di particolari dettagliatissimi come mai prima si era visto in un anime. L’opus magnum di Ōtomo dà corpo e vita all’incubo post-apocalittico che caratterizza l’immaginario giapponese dopo Hiroshima e Nagasaki, al trauma del nucleare che, pure, segnò l’inizio del percorso nipponico verso la modernità (trauma che è a fondamento di tanta produzione letteraria fantascientifica in Giappone: si veda la raccolta La leggenda della nave di carta. Racconti di fantascienza giapponese, 2002).

2019: trent’anni dopo essere stata distrutta dall’esplosione nucleare che ha dato avvio alla terza guerra mondiale, Neo Tokyo è una megalopoli sull’orlo del collasso, attraversata da violenti conflitti sociali, governata da un regime poliziesco, nelle cui strade bande giovanili si contendono il controllo del territorio e si sfidano in gare mortali con motociclette potentissime; la rivolta contro il governo è strisciante, la repressione è feroce e non mancano nemmeno movimenti millenaristici di riforma che attendono il ritorno di Akira, il Messia-Bambino dotato di poteri sovrumani. Una notte, mentre sfrecciano in moto lungo le strade della parte vecchia di Neo Tokyo destinata ad ospitare le strutture delle Olimpiadi del 2020, Kaneda e gli altri membri della sua banda, tra cui Tetsuo, incontrano uno spettrale bambino dal viso di anziano che causa un incidente a seguito del quale Tetsuo si ferisce gravemente. D’improvviso sopraggiungono i militari, comandati da un misterioso Colonnello, che prelevano Tetsuo e lo portano via. Scopriamo così che Tetsuo, come già era successo anni prima al piccolo, misterioso Akira, viene sottoposto a esperimenti che ne potenziano le capacità telecinetiche che lo stesso Tetsuo ignorava di possedere. Quando riuscirà a liberarsi dalla prigionia, trasformato in una sorta di ibrido uomo-macchina, darà sfogo a tutte le sue frustrazioni e tenterà di liberare Akira dalla prigione tecnologica in cui il bambino agonizzante ma ancora vivo (è lui che ha dato il via alla guerra causando la prima esplosione atomica, quella che apre, in un silenzio spettrale, la sequenza iniziale del film) è tenuto nascosto dai militari che ne vogliono studiare le incredibili capacità. Tetsuo darà vita, a sua volta, ad una nuova palingenesi dopo essere stato artefice dell’ennesima, ciclica distruzione globale.

Altro non si può (e non si deve) dire sulla trama, arricchita da numerose sottotrame che ne complicano lo sviluppo: d’altra parte, Ōtomo riduce a poco più di due ore le oltre duemila pagine del manga di cui egli stesso era autore, completato tra il 1982 e il 1990. Il che spiega anche alcuni passaggi di sceneggiatura non proprio chiarissimi ma che nulla tolgono al ritmo mozzafiato e alla continuità della storia. Akira è summa e linea di demarcazione della storia dell’animazione giapponese, narrazione “epico-distopica” fatalmente condizionata dall’idea di apocalisse e post-apocalisse: e non solo per le vicende storiche di cui si è detto ma anche per quelle legate alla dimensione naturale, così particolare nell’arcipelago, in cui incendi (devastante quello del Kantō nel 1923), tsunami e terremoti sono fenomeni con cui la popolazione deve costantemente convivere. Non mancano, altresì, riferimenti alla cultura e al cinema occidentali: il 2019, l’anno in cui si svolge la storia di Kaneda e Tetsuo, è lo stesso di Blade Runner, le cui scenografie di una Los Angeles futuribile notturna e piovosa sono le stesse di Neo Tokyo; e c’è tutto il cyberpunk anni ’80, quello di William Gibson e della seminale “Trilogia dello Sprawl” (Neuromante, Giù nel ciberspazio, Monna Lisa Cyberpunk).

In Akira la scienza non è progresso ma è, piuttosto, il tentativo, opposto e speculare, di porre un freno a se stessa quando gioca a essere Dio e i suoi esiti tecnologici le sfuggono di mano: se la Bomba è il prodotto della liberazione di forze nascoste nell’atomo, Akira e Tetsuo sono il risultato aberrante delle forze prometeicamente scatenate dalla manipolazione della natura umana e dei suoi segreti. Contro l’assunto baconiano che permea l’ottimistica visione occidentale della tecnica (“sapere è potere”, diceva il filosofo inglese già nel ‘600), Ōtomo ci mette davanti agli occhi l’incoscienza di una “scienza-bambina” incapace di fermare gli esiti imprevedibili di esperimenti (non meglio precisati) finalizzati a creare un’umanità “post-umana”, ben rappresentata dall’impressionante braccio bio-meccanico di Tetsuo. Corresponsabile di questa inarrestabile fuga in avanti destinata a produrre e riprodurre la distruzione su scala globale è anche la politica, del tutto priva della capacità di governare razionalmente il reale e progettare il futuro: Neo Tokyo è la capitale di uno stato agitato da pulsioni neoimperialiste, per non dire totalitarie, contro cui nulla possono le organizzazioni terroristiche che tentano disperatamente di sottrarre al Potere la Conoscenza.

Ma, naturalmente, non c’è solo questo in Akira, l’opera che ha segnato il passaggio all’età adulta dell’anime giapponese: per questo vale la pena scoprire da soli quanto, ancora oggi, ha da dirci la storia di Tetsuo, del piccolo Messia e dell’inquietante Umanità a venire.

 

Akira (id.)

Regia: Katsuhiro Ōtomo

Distribuzione: Giappone 1988 (anim., col., 124 min.). Disponibile su Netflix

 

Il manga di Ōtomo è pubblicato dalla Panini in sei volumi;

la “Trilogia della Sprawl” di Gibson è pubblicato dalla Mondadori in volume unico;

l’antologia La leggenda della nave di carta è pubblicata da Fanucci.

 

Il personaggio di Tetsuo è stato ripreso dal regista Shinya Tsukamoto che ne ha tratto un film uscito nel 1989 nel circuito giapponese underground, Tetsuo, rilettura ipertecnologica e gore della storia di Ōtomo.

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