PER UNA CINETECA DI BASE #1
del prof. Lucio Celot
Una breve premessa, seccante come tutte le premesse…
Prof, ma come faccio a farmi un minimo di cultura cinematografica? Da dove devo iniziare?
Il domandone, rivoltomi da molt* tra i/le pansinian* che in questi anni hanno seguito lezioni, progetti, seminari organizzati a vario titolo dal sottoscritto e dalla prof.ssa Politi e/o in rete con altre scuole, se pecca di adolescenziale ingenuità da parte di chi lo porge, è altresì imbarazzante per chi lo riceve, data l’ineliminabile componente soggettiva che renderebbe discutibile e opinabile qualunque risposta. Da qui, la mia evasività e reticenza che ha sempre lasciato palesemente insoddisfatti gli interlocutori. Ma poi, dopo tre anni di collaborazione con Pausacaffè e qualche decina di recensioni, mi sono detto che, in fondo, ferma restando l’arbitrarietà sottesa all’inclusione o meno di un titolo rispetto ad altri in una lista ideale (per dire, perché Psycho sì e La donna che visse due volte no?), ci sono dei “pilastri” che hanno fatto indiscutibilmente la storia del cinema, e sono quelli che trovate in qualunque testo di storia della Settima Arte con un minimo di affidabilità e “scientificità”.
Eccovi, allora, una modesta proposta di titoli per una “cineteca di base” che possa costituire un solido punto di partenza per tutti i cinefili del Pansini. Ovvio che qualcuno tra voi non troverà il film preferito (ma come, questo non l’ha inserito? no, vabbè…) o, peggio, troverà titoli che non gli dicono niente (mai sentito…boh?) o, peggio ancora, ma questo l’ho visto, fa veramente schifo, ma che gli è saltato in mente di elencarlo qui? e via dicendo…Normale e inevitabile, ognuno di noi ha il film della sua vita, quello che gli ha cambiato l’esistenza o che associa a momenti difficili e/o felici che danno a quel titolo un mood che nessun altro potrà comprendere e apprezzare. Insomma, avete capito: a partire dal contributo che state per leggere (a meno che non vi siate già stufati) troverete qui nelle prossime settimane una serie di milestones che possono costituire un buon capitale da cui iniziare per investire in quella meravigliosa passione che è il Cinema. E allora, bando alle chiacchiere e buone visioni dal Vostro Affezionato
Lucio Celot
Note per la lettura: al titolo in italiano fanno seguito titolo originale (tra parentesi), regista, paese e anno di distribuzione, formato e durata.
P.S.: ovviamente, mi assumo ogni responsabilità per i brevi e personalissimi commenti, alcuni dei quali sul sottile crinale tra il serio e il cialtronesco, che seguono la scheda di ciascun film.
Parte prima: 1895-1930 (o giù di lì)
I pionieri
L’arrivo di un treno alla stazione di La Ciotat (L’arrivée d’un train en gare de La Ciotat), A. e L.Lumière, Francia 1896 (b/n, 50’’).
La celebre inquadratura angolata spaventò gli spettatori che temevano di essere schiacciati dalla locomotiva in arrivo. Uso magistrale della profondità di campo. Disse uno dei fratelli: “Il cinema è un’invenzione senza futuro”.
Il viaggio nella Luna (Le voyage dans la lune), G.Méliès, Francia 1902 (b/n, col., 14’).
Il faccione della Luna colpito dal razzo è diventato l’icona del cinema delle origini. Il più famoso tra i 500 “corti” del prestidigitatore e illusionista Méliès, che trasferisce sulla celluloide gli effetti speciali del suo teatro delle attrazioni. Fantastico, puro intrattenimento.
L’assalto al treno (The Great Train Robbery), E.S.Porter, USA 1903 (b/n, 11’).
Chi l’avrebbe mai detto che il western sarebbe diventato il genere per definizione del cinema classico hollywoodiano? Tra i primi film “narrativi”, con montaggio in parallelo e l’inquadratura finale con il pistolero che spara direttamente allo spettatore abbattendo il “muro” della finzione.
I primi kolossal
Cabiria (id.), G.Pastrone, Italia 1914 (b/n, 187’, ma esistono varie versioni).
Se lasciate perdere le didascalie scritte da quel trombone di D’Annunzio e vi affidate alle carrellate che Pastrone usa con grande senso del dinamismo e in modo innovativo per quei tempi, capirete perché il film ha influenzato perfino Griffith e ha avuto un enorme successo di pubblico. Scenografie mastodontiche: un kolossal, appunto.
Nascita di una nazione (The Birth of a Nation), D.W.Griffith, USA 1915 (b/n, 193’).
I meriti formali sono indiscutibili: è “la meraviglia del cinema muto”, la tecnica del montaggio alternato fa sì che la pellicola faccia letteralmente esplodere tutto il potenziale narrativo del cinema, fino a quel momento appena sfiorato. Solo che nella scena finale, quando “arrivano i Nostri!” dopo più di tre ore di film, i Nostri sono quei simpaticoni del Ku Klux Klan. Se la nascita di una nazione è questa, te la raccomando. Scandalosamente razzista.
Il cinema fantastico
Il gabinetto del dottor Caligari (Das Cabinet des Dr.Caligari), R.Wiene, Germania 1920 (b/n, 77’).
Il capolavoro assoluto dell’Espressionismo, con le sue scenografie sghembe e volutamente irrealistiche, le prospettive distorte, i fondali dipinti, il dubbio che tutta la vicenda (il killer sonnambulo) sia solo il frutto di una mente malata. Altro che Freud! Antesignano di molti cliché del genere horror. Imperdibile, da guardare e riguardare.
Nosferatu il vampiro (Nosferatu, eine Symphonie des Grauens), F.W.Murnau, Germania 1922 (b/n, 94’).
Il babbo dei Dracula cinematografici, girato in buona parte in esterni, con inquadrature oblique e scentrate e un uso della pellicola anche al negativo per conferire spettralità al paesaggio. Il povero Conte Orlock è scheletrico, calvo, con due orecchie che nemmeno il signor Spock, denti da coniglio e unghie decisamente poco curate: detto così sembra che faccia ridere, ma guardate l’effetto della sua ombra che si staglia sulla parete e riparliamone.
La rivoluzione del cinema russo
La corazzata Potëmkin (Bronenosets Potyomkin), S.M.Eisenstein, Russia 1925 (b/n, 75’, ma esistono diverse versioni.)
Una volta rimossa la celeberrima e applaudita (92 minuti!) critica fantozziana, il più famoso film di propaganda sovietica, manifesto politico della lotta del popolo contro il regime zarista, dispiega tutta la sua estetica rivoluzionaria. Il montaggio delle attrazioni, la coralità e l’orchestrazione delle scene di massa, insieme alla sequenza della scalinata di Odessa, fanno sì che il ritmo venga enfatizzato rispetto alla narrazione. Ah, tranquilli: nonostante la vulgata, dura soltanto un’ora e un quarto…
L’uomo con la macchina da presa (Čelovek s kino-apparatom), D.Vertov, Russia 1929 (b/n, 68’).
“Io sono il cineocchio, un occhio meccanico in costante movimento”: la vita dei sovietici filmata da un operatore dall’alba al tramonto a Odessa, Kiev, Mosca. Velocità, dinamismo, montaggio febbrile senza didascalie né attori né set per dimostrare che il linguaggio del cinema è universale e altro da quello del teatro e della letteratura. Il documentario è “superiore al film di finzione”: e il collega Eisenstein liquidò il film tacciandolo di “teppismo cinematografico”. Ma la questione in ballo era ontologica: il cinema può essere verità?
I comici del muto
La febbre dell’oro (The Gold Rush), C.Chaplin, USA 1925 (b/n, 81’).
La sequenza del pranzo a base di scarpone bollito vale da sola tutto il film. Ispirato alla tragedia del Donner Pass, in cui un gruppo di cercatori restò bloccato sulla montagna e di 160 uomini ne rimasero solo 18, sopravvissuti anche grazie al cannibalismo, il film è la quintessenza della comicità di Chaplin, in cui i molti momenti esilaranti si alternano a pause di riflessione o drammatiche. Costato una fortuna e 14 mesi di lavoro, al botteghino ripagò ampiamente Chaplin.
Come vinsi la guerra (The General), B.Keaton e C.Bruckman, USA 1926 (b/n, 70’).
Non sai mai se seguire la storia o guardare l’espressione catatonica e impassibile di Keaton, che fa ridere di per sé, alle prese con un triangolo amoroso decisamente particolare, lui, lei e la locomotiva (che ha un nome, The General). Per recuperare l’amor proprio e quello dell’amata Annabelle, il personaggio di Keaton ne combina di tutti i colori lungo i binari dell’America in piena guerra di secessione: le risate non si contano, e nemmeno le funamboliche peripezie del povero Johnnie.
L’apice del cinema muto
Aurora – Il canto di due anime (Sunrise: a Song of Two Humans), F.W.Murnau, USA 1927 (b/n, 97’).
Intenso melodramma (con inserti comedy) tutto tedesco ma girato in America, ricco di elementi espressionistici: profondità di campo, uso della “falsa prospettiva” per ingrandire gli ambienti esterni, riprese “sghembe”. La trama? Niente di nuovo: “il canto universale dell’Uomo e della Donna”, lui (villico rozzo ma di buoni sentimenti), lei (dolce e ingenua come una Madonna), l’altra (la perfida seduttrice di città), il pentimento, la fiducia ritrovata, il destino infame che ci mette (quasi) lo zampino. Tre premi Oscar: film, fotografia, attrice protagonista e un finale con una struggente sequenza notturna sul lago.
La passione di Giovanna d’Arco (La passion de Jeanne d’Arc), C.T.Dreyer, Francia 1928 (b/n, 110’).
Un film fatto di primi piani intensissimi dell’attrice di teatro Maria Falconetti, nei cui occhi espressivi vedi tutta l’angoscia, la responsabilità ma anche la determinazione di chi porta su di sé il peso di un intero popolo in guerra. Il film è considerato ancora oggi uno dei vertici del ritratto cinematografico. Dreyer contrappone abilmente il volto della Falconetti ai musi porcini e animaleschi dei suoi inquisitori: spiritualità, religiosità nordica, rigore etico e formale. Vi piaccia o no, questo è Dreyer.
Il cinema surrealista
Un chien andalou (id.), L.Buñuel, Francia 1929 (b/n, 16’).
Wikipedia lo ascrive al genere horror: non esageriamo, che vuoi che sia la scena iniziale in cui un bulbo oculare viene reciso a rasoiate? Insieme a Dalì, Buñuel concepisce un film che non deve avere alcuna possibilità di interpretazione razionale: immagini sovversive e incomprensibili, come la sequenza in cui un tizio trascina legati insieme due preti e due pianoforti su cui giacciono due asini morti. Aprite la mente all’irrazionale e non chiedetevi il “perché”, la narrazione lineare è solo un’illusione (da prendere a rasoiate).
L’avvento del sonoro
M – il mostro di Düsseldorf (M), F.Lang, Germania 1931 (b/n, 117’).
Primo grande “trauma” nella storia del cinema, l’avvento del sonoro produsse un cambiamento epocale. Lang, tedesco fuggito in America dopo avere rischiato di diventare il regista della propaganda nazista, utilizza magistralmente la novità e mette in scena uno dei primi serial-killer del cinema, un piccolo uomo, pedofilo e assassino, mosso da irrefrenabile istinto omicida che sconvolge un’intera città e tutte le sue classi sociali. Acuta riflessione sul tema della giustizia e delle sue degenerazioni, legherà Peter Lorre a ruoli da “mostro” per tutta la carriera.
(1 – continua)