Storie di radicalismo tra geopolitica e inconscio collettivo – Califfato (Svezia, 2020)
del prof. Lucio Celot
Cinque anni dopo l’abbattimento delle Torri Gemelle, nel 2006, John Updike, uno tra i massimi romanzieri americani del Novecento, pubblicò Terrorista, il suo ultimo libro prima della morte, avvenuta nel 2009. È il romanzo di un apprendistato al terrorismo: Ahmad è un giovane immigrato di seconda generazione, serio, responsabile, studente modello e senza grilli per la testa che a diciotto anni, sentendosi respinto ed estraneo rispetto al mondo e ai valori dei suoi coetanei, si avvicina all’Islam e al Corano attraverso la frequentazione dell’imam della cittadina del New Jersey in cui vive. Nelle trecento pagine del romanzo si snoda la “formazione” di Ahmad, progressivamente plagiato dal religioso, convinto a lasciare gli studi per diventare un camionista e farsi saltare in aria nel Lincoln Tunnel di New York. La serie svedese Kalifat riprende il tema dell’arruolamento dei potenziali martiri nelle fila del fondamentalismo islamico e lo aggiorna al periodo immediatamente successivo al 2014, quando in Siria sorse e si diffuse l’ISIS, l’organizzazione terroristica politico-religiosa il cui scopo era quello di fondare lo stato islamico del Califfato, un territorio che nelle intenzioni del fondatore Al-Zarqawi, doveva comprendere la Siria e l’Iraq. Apparentemente sconfitto (almeno sul campo di battaglia), il Califfato è tornato nelle scorse settimane (gennaio 2024) alla ribalta per avere rivendicato l’attentato di Kerman, in Iran, che ha causato ben 84 morti e quasi trecento feriti.
Lo script della serie mescola con equilibrio le vicende di Suleika, Lisha e Kerima, adolescenti immigrate in Svezia, musulmane di seconda generazione, irretite da Ibbe, mediatore culturale in una scuola per stranieri nonché insospettabile reclutatore dell’ISIS che le convince ad abbandonare famiglia e scuola per recarsi a Raqqa (all’epoca roccaforte dello Stato Islamico) e quelle di un’agente dell’intelligence svedese, la bosniaca Fatima, immigrata anche lei e in contatto telefonico con Pervin, una donna di Raqqa sposata con un combattente dell’ISIS, intenzionata a fuggire in Europa con la figlioletta. Fatima promette aiuto a Pervin in cambio di informazioni su una serie di attentati che l’ISIS vuole compiere proprio in Svezia.
Con il suo mix equilibrato di azione e vicende familiari che si alternano tra la Svezia e la Siria, Califfato è una miniserie che merita di essere vista proprio perché affronta il tema del fondamentalismo e del terrorismo islamico riuscendo a tenere alta la tensione pur senza ricorrere all’azione adrenalinica o ad un taglio esclusivamente geopolitico (che, alla lunga, avrebbe stancato) ma osservando il processo di “radicalizzazione” che trasforma alcune ingenue studentesse in fanatiche foreign fighters pronte a sacrificare gli affetti familiari e se stesse in nome di Allah. E questa è un’altra caratteristica degna di nota della serie: le protagoniste sono tutte donne, la testarda Fatima, la coraggiosa Pervin, umiliata e offesa da un regime patriarcale e misogino, la sprovveduta Kerima, che si invaghisce di Ibbe e trova nel Califfato un motivo per fuggire da una dimensione familiare disfunzionale; e poi c’è Suleika, l’adolescente arrabbiata che scopre Allah e il Corano, figlia di una coppia immigrata perfettamente integrata nella società laica e liberal-democratica svedese. Insomma, il Califfato visto dalla parte delle donne.
Gli sceneggiatori sembrano fare propria la tesi dell’islamista Olivier Roy, secondo il quale la radicalizzazione sarebbe l’esito del disagio sociale prodotto a sua volta dall’incapacità della società occidentale, capitalista e consumista, a offrire autentici valori esistenziali (teoria bene esemplificata dai due fratelli svedesi che vengono arruolati da Ibbe dopo che si sono radicalizzati in carcere); ma ci piace anche segnalare un libro di Luigi Zoja, psicanalista junghiano di fama mondiale, che Nella mente di un terrorista fornisce un’interessante e originale chiave di lettura del fondamentalismo: alla luce della teoria junghiana degli archetipi dell’inconscio collettivo, Zoja individua nel tramonto del modello paterno tradizionale, quello dell’autorità che amministra i limiti, la causa prima della necessità di una riformulazione dell’identità maschile. Per i giovani maschi (e, in misura minore, per le donne) immigrati di seconda o terza generazione, l’Occidente ha perso il senso del ruolo di proibizione che era stato tradizionale appannaggio dei Padri. In questo quadro così drasticamente mutato, l’adolescente ha bisogno di un “compito eroico”, di una sfida alla morte, di sentirsi parte di un disegno che lo trascenda. Chi sono i Padri di Califfato contro cui si ribellano le Figlie? Uno è quello di Kerima, alcolizzato e violento, praticamente incapace di intendere e di volere; l’altro è Suleiman, il padre di Suleika, cittadino laico, marito affettuoso e premuroso ma rigido nel suo rifiuto dell’islam, monoteismo paternalistico per definizione. Contro tutti questi Padri, insieme a Pervin lontana/vicina, faranno la loro scelta radicale le giovani protagoniste della serie, ad attendere ognuna delle quali è in agguato un diverso destino di vita e morte.
Califfato (Kalifat)
Stagione 01 (ep.1-8)
Distribuzione: Svezia 2020; disponibile su Netflix.
Il romanzo di J.Updike: Terrorista, Guanda 2007
Il saggio di L.Zoja: Nella mente di un terrorista, Einaudi 2017