Stephen King e il lato oscuro della scrittura: tre romanzi tra prigionia, sdoppiamento e redenzione

del prof. Lucio Celot

(Ci siamo: oggi, 27 maggio 2025, è in libreria Never Flinch, il nuovo attesissimo romanzo di Stephen King. Per festeggiare la nuova uscita e stuzzicare ulteriormente la febbrile curiosità che accompagna ogni nuova pubblicazione del Re, eccovi la proposta di una piccola maratona letteraria: tre romanzi, tre protagonisti diversissimi, una sola ossessione condivisa – la scrittura. Tre libri che sono anche altrettanti inviti a riflettere su cosa significhi, oggi, raccontare storie. E magari anche scriverle.)

S.King, “Trilogia degli scrittori”

Non suscita meraviglia il fatto che uno scrittore da più di mezzo miliardo di copie vendute ogni tanto si soffermi a riflettere sul proprio mestiere, sul mistero della creazione letteraria, sulle tecniche narrative che sorreggono il talento, sul rapporto con il pubblico (il Fedele Lettore cui Sua-Maestà-Il-Re si rivolge costantemente); e King lo ha fatto nell’autobiografia letteraria On Writing, pubblicata per la prima volta nel 2000, una sorta di visita guidata a beneficio di lettori e aspiranti scrittori nel suo laboratorio creativo. Ma come sanno bene i lettori del Re, la professione dello scrittore è diventata, essa stessa, elemento narrativo fondante nei romanzi e nelle short stories di King, basti ricordare il Jack Torrance di Shining (1977), il Mike Noonan di Mucchio d’ossa (1998), il Mike Enslin di 1408 (2002) e, soprattutto, i tre romanzi che il Vostro Affezionatissimo vi invita qui a leggere in sequenza, in una sorta di maratona che vi porterà dentro le menti (compresa quella dello stesso King), creative e ossessive a un tempo, di chi della scrittura ha fatto il proprio mestiere.

***

In Misery (1987), Paul Sheldon è uno scrittore di successo noto per la serie di romanzi rosa con protagonista Misery Chastain. Dopo aver scritto l’ultimo libro della saga, nel quale decide di uccidere la sua eroina per dedicarsi a opere più ambiziose (Bolidi è il libro che ha già scritto, di cui ha con sé l’unica copia dattiloscritta, l’opera che dovrebbe consacrarlo definitivamente agli occhi della critica come scrittore mainstream), ha un incidente d’auto in una zona isolata del Colorado. Viene salvato da Annie Wilkes, un’ex infermiera psicopatica, un “angelo della morte” che l’ha fatta franca in tribunale nonché sua fan numero uno, che lo accoglie nella sua casa, lontano dal mondo, con l’intenzione di curarlo. Tuttavia, quando scopre che nel nuovo romanzo di Sheldon Misery è morta, Annie si trasforma in una carceriera sadica e violenta e costringe l’immobilizzato Paul a scrivere un nuovo libro in cui l’eroina Misery dovrà essere riportata in vita. Il rapporto malato col proprio pubblico, il dilemma tra letteratura di consumo e produzione “alta”, le difficoltà di creare una trama “onesta” e credibile agli occhi dell’Assiduo Lettore (rappresentato dalla folle ma non ingenua Anne) sono i temi attorno a cui King costruisce uno dei suoi romanzi più famosi, grazie anche alla trasposizione cinematografica di Rob Reiner del 1990. Paul è lo scrittore metaforicamente intrappolato, l’artista in perenne conflitto tra il desiderio di libertà creativa e le aspettative del pubblico che vorrebbe emanciparsi dalla produzione di consumo, mostrare a se stesso e al mondo che è capace di fare di più ma è letteralmente imprigionato dalla sua fama: scoprirà, al termine della terrificante “degenza” nella casa di Anne, che tutto sommato la “celebrità commerciale” non gli dispiace affatto. Annie è, a sua volta, il pubblico nella sua forma più ossessiva e possessiva, il lettore fanaticamente attento agli sviluppi della trama che non accetta il cambiamento e che esige che l’autore resti ancorato a una formula di successo sempre uguale a stessa: Kathy Bathes, che per il ruolo di Anne ha vinto l’Oscar come migliore attrice protagonista, è straordinaria nel restituire allo spettatore una figura di donna perennemente in bilico tra devozione e sadismo, tra materna premurosità e glaciale furia vendicativa. Per tutta la durata del film, nell’arco di una battuta la Bates riesce a cambiare registro vocale e personalità con una performance che l’Academy non poteva ignorare (cosa abbastanza rara per un thriller psicologico con elementi horror).

Paul Sheldon (James Caan) e Anne Wilkes (Kathy Bates) in una sequenza di “Misery non deve morire” di R.Reiner (1990)

King scrive un romanzo che è allegoria del rapporto tormentato tra scrittore “popolare” e lettore che egli stesso ha sperimentato: i suoi romanzi horror lo hanno reso famoso, ma hanno anche creato aspettative da parte del pubblico e dell’industria editoriale che gli hanno a volte reso difficile sperimentare altri generi. Il dilemma tra letteratura di consumo e letteratura alta è centrale nel romanzo: Paul desidera liberarsi dal personaggio di Misery ma ha perso il controllo sulla propria arte, e la violenza psicologica e fisica che Paul subisce per mano di Annie è l’esasperazione di un rapporto che, nella realtà, si manifesta sotto forma di pressioni editoriali e resistenze del pubblico. Misery mostra come il confine tra “letteratura alta” e “commerciale” sia labile, e lo fa per mezzo di un thriller avvincente che è anche una riflessione meta-letteraria sul mestiere dello scrittore; è una storia di prigionia fisica, ma anche metaforica, sulla paura di essere schiavi del proprio successo, una riflessione amara e profonda sul destino degli scrittori di successo.

***

            Se Misery è puro horror psicologico con ampi sprazzi gore (che la versione di Reiner ci risparmia sostituendo un coltello elettrico con una mazza spaccapietre…), La metà oscura (1989) ci riporta alla biografia del King degli esordi, quando Il Re scriveva libri sotto lo pseudonimo di Richard Bachman. Se Paul Sheldon decide di uccidere l’eroina dei suoi libri, Thad Beaumont, lo scrittore protagonista del romanzo, “uccide” invece il proprio pseudonimo, George Stark, l’autore (fittizio) di alcuni romanzi pulp che hanno avuto un grande successo ma la cui vera “identità” è stata scoperta. Così, Thad e sua moglie Liz inscenano un finto funerale e una finta sepoltura con tanto di lapide di cartapesta e servizio fotografico su una rivista patinata. Il problema è che Stark diventa un essere in carne e ossa che esce dalla tomba e comincia a fare strage di tutti quelli che hanno decretato la sua dipartita (editor, agente letterario, etc.) e minaccia Thad di uccidergli la moglie e i figli se non lo farà “resuscitare” scrivendo un altro dei suoi fortunati romanzi.

            La metà oscura è forse il più esplicito tra i romanzi di King nel tematizzare lo sdoppiamento dell’identità creativa (C’è colui che esiste nel mondo normale…e colui che crea mondi nuovi. Sono in due. Ce ne sono sempre almeno due, pensa lo sceriffo Pangborn): George Stark è la maschera pulp, violenta e amorale che King ha indossato per anni sotto lo pseudonimo di Richard Bachman, ma è anche l’incarnazione di un lato oscuro che non si può semplicemente “seppellire”. Stark non è solo una figura horror, è la proiezione delle pulsioni più torbide e potenti dell’immaginario kinghiano, una creatura che rivendica il diritto di esistere, di scrivere, di “tornare”. Thad Beaumont, intellettuale e uomo di famiglia, scopre così che la scrittura non è mai del tutto innocente: ogni parola scritta è una discesa nella propria ambiguità. Come in Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde, Thad deve fare i conti con l’impossibilità di separare l’uomo dall’artista, la rispettabilità borghese dal bisogno di dare voce al perturbante. Se in Misery lo scrittore è prigioniero del pubblico, qui è ostaggio di sé stesso. Il finale – che, ovviamente, non verrà svelato qui – suggerisce che nessuna maschera può essere davvero distrutta: ogni scrittore convive con i propri fantasmi, e la scrittura ne è, ancora una volta, esorcismo e condanna.

Thad Beaumont e il suo doppio, George Stark, nella trasposizione cinematografica di George Romero (1993)

***

            Billy Summers, a differenza di Sheldon e Beaumont, non è uno scrittore professionista: in verità fa tutt’altro mestiere, è un cecchino abilissimo reduce dalle operazioni militari americane in Iraq, un killer molto apprezzato sul mercato, che mette a disposizione la propria letale abilità a chi ne fa richiesta e paga bene, purché gli “obiettivi” da eliminare siano “persone cattive” (sic!). Prima di ritirarsi accetta l’ultimo incarico, quello che dovrà sistemarlo per tutta la vita: due milioni di dollari per liquidare un assassino in odore di estradizione a cui il misterioso committente vuole tappare definitivamente la bocca. Per farlo, Billy assume una falsa identità, quella di uno scrittore che sceglie la tranquilla cittadina di provincia dove si svolge l’azione per terminare in pace il suo ultimo libro. Nel frattempo, deve fingersi un onesto e integerrimo cittadino, interagendo con la comunità e cercando di non destare sospetti. Portato a termine il “lavoro”, capisce di essere stato tradito dai suoi datori di lavoro e organizza la vendetta insieme ad Alice, una ragazza che imprevedibilmente gli cambia la vita e, forse, porterà a termine la sua opera letteraria.

            Billy Summers racconta, dietro il pretesto del noir e del poliziesco, la scrittura come redenzione e autoanalisi, esplorazione del sé e riflessione sull’arte del narrare le storie. Billy è un lettore compulsivo, conosce i classici della letteratura, sa esprimersi in modo impeccabile anche se nel suo ambiente di lavoro finge di essere un broccolone un po’ imbranato (e tutti credono che sia tale). La finzione cui è costretto si tramuta in passione: nei mesi che deve passare in attesa che l’occasione per sparare al bersaglio si presenti, Billy inizia a scrivere della propria esperienza in Iraq; il suo Mac, che inizialmente gli serve solo come copertura per l’incarico, diventa un po’ alla volta lo strumento di un apprendistato e poi di una terapia, un modo di fare i conti con i propri fantasmi, dare un senso alle proprie dolorose esperienze passate (l’infanzia e la guerra) e tentare un riscatto morale: Scrivere è bello. Ha sempre desiderato farlo, e ora ha cominciato. Un’ottima cosa. Però, chi poteva immaginare che facesse tanto male?

Il tema è caro a King: la scrittura è, tra le altre cose, autoconoscenza ed esorcizzazione dei demoni interiori. Rispetto al Jack Torrance di Shining o al Thad Beaumont de La metà oscura, Billy non ha ambizioni letterarie, non è ossessionato dalla scrittura ma finisce per usarla come uno specchio del proprio passato; un approccio, dunque, più maturo e meno tormentato proprio perché Billy non ha nulla dello “scrittore dannato” degli altri romanzi di King. Ancora una volta, Il Re ci parla un po’ di sé e del suo mestiere di storyteller ma lo fa con una dolcezza nuova, quasi crepuscolare, come se la parola scritta potesse finalmente diventare rifugio, e non solo ossessione.

***

            Dopo la “maratona”, avrete attraversato tre tappe di un percorso di maturazione artistica e umana: dalla prigione alla consapevolezza, dal sangue al silenzio della pagina. In fondo, è questo che King sembra volerci dire: che ogni storia nasce da un angolo buio della mente, e che scrivere è sempre un atto rischioso, un patto col proprio demone e anche una possibilità di salvezza o, quanto meno, di sopravvivenza. Gli aspiranti scrittori sono avvisati…

 

I tre romanzi, tutti editi da Sperling&Kupfer:

Misery (1987)

La metà oscura (1989)

Billy Summers (2021)

 

I film:

Misery (USA 1990), regia di Rob Reiner, col.107’

La metà oscura (USA 1993), regia di George A.Romero, col.122’

E Billy Summers? Voci in rete parlano di un film con Di Caprio produttore e J.J.Abrams regista…mah, si vedrà…

 

Sulla scrittura e, più in generale, sul processo creativo, King ha scritto On writing. Autobiografia di un mestiere, Sperling&Kupfer 2017

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *