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Tra le mura della scuola: genesi di una coscienza sociale

di Vittoria Bucci ( IIA)

Ottobre 2023: un liceo napoletano mette in atto la prima occupazione in Italia legata a quanto stava
accadendo a Gaza. Era trascorso appena un mese dall’attentato di Hamas del 7 ottobre 2023, la parola
#genocidio era ancora off limits. Gli adolescenti che occuparono quel liceo, il “Gian Battista Vico”,
avevano saputo guardare più lontano degli adulti con cui si scontrarono e se oggi, a distanza di due
anni, due milioni di persone sono scese in piazza nel nostro Paese per manifestare in difesa del
popolo palestinese, lo si deve anche a tutti coloro che, come quei ragazzi, non hanno mai cessato di
mobilitarsi. Sono stati numerosi gli istituti scolastici italiani che, negli ultimi mesi, hanno vissuto
periodi di occupazione studentesca, momenti intensi in cui gli studenti hanno voluto esprimere il
proprio dissenso in merito alla questione palestinese, oltre che, talvolta, a problematiche interne.

Queste mobilitazioni, per la loro tempistica, hanno spesso sollevato una domanda ricorrente:
“Perché occupare per denunciare il genocidio palestinese, se è appena stata proclamata una tregua?”
La tregua a Gaza non ha significato una vera interruzione dei bombardamenti né della repressione. Si
è rivelata piuttosto uno strumento volto a contenere le proteste internazionali e a salvaguardare
interessi geopolitici, attenuando la mobilitazione globale senza arrestare le dinamiche di violenza e
oppressione. Più che un passo concreto verso la pace, il “cessate il fuoco” ha assunto la forma di una
messinscena diplomatica dietro la quale continuano a celarsi incursioni, uccisioni e repressioni
sistematiche.

La neutralità, in questo momento storico, equivale a complicità.
Non è una questione di schieramento politico, ma di umanità e responsabilità: ogni silenzio pesa, ogni
azione conta.

In questo clima, noi studenti del liceo Pansini abbiamo avvertito l’urgenza di dedicare uno spazio più
ampio all’informazione, alla riflessione e all’espressione del nostro dissenso verso le atrocità
protagoniste della scena politica globale, per non limitarci a essere spettatori passivi. In un tempo in
cui la partecipazione giovanile sembra spesso guardata con sospetto, abbiamo voluto dimostrare che
la scuola può ancora essere un luogo politico, nel senso più alto e nobile del termine: uno spazio dove
si impara a pensare criticamente, a confrontarsi e a dissentire con rispetto. Abbiamo reso la nostra
scuola una piccola città autogestita, un laboratorio di idee, una prova di democrazia, dove il valore del
nostro “voto” si misurava nella responsabilità delle scelte e nella consapevolezza acquisita.

Vorrei portarvi dentro le mura di una scuola che per 2 settimane è appartenuta solo ai suoi studenti.
18 ottobre 2025: arrivo alla sede centrale del Pansini a piedi. Niente lezioni, niente navette. Sono le
10. Nello zaino non c’è il dizionario di greco o di latino: porto con me solo tutti i pennarelli che sono
riuscita a recuperare per creare dei cartelloni, un dolce da condividere con i miei compagni, che hanno
trascorso la notte rannicchiati nei sacchi a pelo sui banchi, e un forte nodo che mi stringe la gola.

Chiariamolo subito: le occupazioni sono illegali. Si occupa un bene pubblico interrompendo di fatto
la didattica. Eravamo tutti pienamente consapevoli di aver compiuto un gesto forte, ma ciò che
abbiamo vissuto da occupanti racconta anche un’altra verità. I cancelli all’ingresso sono chiusi da
catene; per entrare dobbiamo identificarci come alunni della scuola. Abbiamo cercato di custodire lo
spazio scolastico come fosse casa nostra, imponendoci un sistema di regole chiaro e rigido e
sentendo in ogni gesto il peso di tale responsabilità. Ci siamo resi conto in fretta della complessità
insita nell’autogestione di un’intera scuola. Noi studenti ci siamo occupati di organizzare i turni h24,
garantire sicurezza, pulizia e ordine, creare una didattica alternativa fatta di corsi su storia
contemporanea, Gaza, attivismo, lotta alle mafie, ma anche di attività ricreative come graffiti,
cineforum tematici e tornei sportivi, gestendo tutto attraverso continue assemblee in cui le decisioni
venivano prese in base alla maggioranza. La comunità studentesca si è trasformata in un organismo
deliberativo straordinario. Abbiamo avuto l’opportunità, per la prima volta, di abitare davvero
quell’edificio, rendendo le sue aule spazi di discussione, laboratori, palestre di idee in modo
permanente.

In questo percorso ci siamo impegnati in un’integrazione proattiva e costruttiva con il tessuto
sociale che ci circonda, il quale ha risposto alla nostra sete di conoscenza con grande apertura: mi
riferisco ad associazioni come “Global Movement to Gaza” e “Mediterranea Saving Humans”, che
ci hanno offerto testimonianze dirette a difesa del popolo palestinese, rivelandoci storie spesso
taciute, come quella di Sheikh Saeed, contadino a cui è stata amputata una gamba dopo essere stato
colpito da un colono israeliano nel settembre di quest’anno. Sheikh Saeed era intervenuto per
proteggere il figlio sedicenne, aggredito da altri coloni mentre cercava di impedire la distruzione del
loro campo. Al contempo, esperti attivisti hanno dedicato il loro tempo ad approfondire temi di
attualità quali le implicazioni del DDL sicurezza e il disegno di legge Gasparri, questioni troppo
spesso ridotte a slogan dai telegiornali. È vero, talvolta la scuola offre momenti simili, pur essendo
sporadici; tuttavia, durante l’occupazione, quei frammenti si sono dilatati, diventando la regola
anziché l’eccezione, rendendoci protagonisti di tutta la filiera. In quelle due settimane abbiamo
imparato che si può “studiare” anche discutendo su un pavimento pieno di cartelloni, ascoltando
solo esperienze di vita reale invece di una lezione frontale, o scoprendo che la politica non è un
capitolo di educazione civica, ma una dimensione che permea la quotidianità. Abbiamo imparato
che sapere non significa solo ricordare: è prendere posizione, mettersi in gioco, sporcarsi le mani
con la realtà.

Forse è questo, in fondo, il senso più profondo dell’esperienza: non occupare la scuola per fermarla,
ma per metterla in movimento, ed è quello che abbiamo fatto.

Il Pansini è ripartito dalla sua comunità, che forse nell’epoca post-Covid aveva quasi dimenticato di
avere, riscoprendo il senso di appartenenza, la fratellanza tra centrale e succursale: due sedi che per
anni hanno vissuto separate si sono finalmente riconosciute come parte di un’unica realtà scolastica.
Queste due settimane non sono state vane. Ci hanno lasciato un’eredità visibile nei nostri sguardi,
nella consapevolezza di essere protagonisti dei nostri tempi, nella volontà di relazionarci con
maggiore incisività alla comunità studentesca, di continuare, forse con ancora più determinazione, a
scendere in piazza per supportare le cause che sentiamo davvero nostre.

Siamo consapevoli di aver agito in maniera imperfetta, eppure riconosciamo che ogni imperfezione ha
rappresentato un passo verso una consapevolezza più matura e un impegno più incisivo.

2 pensieri riguardo “Tra le mura della scuola: genesi di una coscienza sociale

  • Francesca De Simone

    Ottimo!
    Non avete fatto qualcosa di imperfetto, nemmeno in maniera imperfetta….
    avete fatto qualcosa…. per voi, per gli adulti, per i tempi nei quali siamo immersi…
    Grazie
    Prof.ssa Francesca De Simone

    Rispondi
  • Fornaro Stefano

    Grazie Vittoria per questo resoconto e per aver condiviso con noi queste tue (ma anche vostre e nostre!) importanti e profonde riflessioni. Stiamo vivendo, purtroppo, un momento storico che a livello politico e a livello sociale presenta tratti orrendi e preoccupanti. Il silenzio di molti governi (e la complicità di pochi altri) su ciò che sta accadendo a Gaza, in Ucraina, in Sudan, in Siria, in Nigeria è davvero sconvolgente e disumano! Come disumane sono anche alcune dichiarazioni che vengono rilasciate e di cui tutti siamo testimoni.
    Come ho già detto da vicino ad altri studenti, sebbene la modalità “occupazione” resta discutibile, sul messaggio, sulle intenzioni e sullo scopo della protesta non vi è alcun dubbio: direi che praticamente tutta la comunità pansiniana è dalla vostra stessa parte. Mi sento di dire che il Pansini, nato e cresciuto antifascista, sin dalla sua fondazione si è sempre schierato dalla parte della Pace, del popolo palestinese e dei più deboli e molte sono state le manifestazioni, anche recentemente, a cui abbiamo partecipato.
    Ti dico la verità: avremmo preferito una modalità diversa dall’occupazione, magari un sit-in stabile oppure un’assemblea permanente in cui sarebbe stato possibile anche per noi ATA e docenti intervenire e confrontarsi. Ma va bene! La cosa bella, sia a livello scolastico sia nazionale ma anche internazionale, è la consapevolezza che i popoli stanno acquisendo sull’orrore di quanto sta accadendo, la presa di coscienza su episodi gravissimi e il fatto di mettere su tante proteste pacifiche proprio per dire, pacificamente appunto, che non vogliamo passivamente accettare le decisioni di chi vorrebbe, con la forza e con le armi, imporre la propria visione.

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