Amore e Capitalismo, le due passioni che bruciano vite – Burning: L’amore brucia (L.Chang-dong, 2018)

del prof. Lucio Celot

Breve ma necessaria premessa storica. Le vicende della Corea del Sud nell’ultimo secolo possono essere grosso modo divise in tre periodi: l’occupazione giapponese dal 1907 alla fine della Seconda Guerra Mondiale; la guerra con la Corea del Nord (1948), la divisione del Paese in due (1952) e il susseguirsi di dittature militari fino al 1991; la fase della democrazia, apertasi nel 1992 con l’elezione di un presidente senza trascorsi militari e il grande balzo in avanti nello sviluppo capitalistico e finanziario. Nell’ultimo ventennio la Corea del Sud è diventata una delle dieci maggiori potenze economiche al mondo, con tutte le conseguenze immaginabili sul piano delle sperequazioni e disuguaglianze sociali: testimonianza critica e feroce di questa crescita esponenziale del capitalismo selvaggio è stata, in tempi recenti, la serie tv Squid Game (2021), un successo mondiale senza precedenti nella storia della televisione; ma vanno citati almeno anche il premio Oscar Parasite (Bong Joon-ho, 2019) con la sua insistente metafora del sopra/sotto a rappresentare la condizione conflittuale tra le classi sociali, e Pietà (2012) del compianto Kim Ki-duk, ritratto violento e disturbante della degradata periferia di Seoul con le sue storie di esistenze precarie.

In Burning (tratto da un racconto di Murakami), il regista sudcoreano (scrittore, nonché ministro della Cultura e del Turismo circa una ventina d’anni fa) Chang-dong mette in scena Amore e Capitalismo, due forze universali, irresistibili e implacabili, che stravolgono le vite di un terzetto (che è, forse, anche un triangolo amoroso) di giovani coreani della capitale. Jongsu si è laureato in scrittura creativa e vorrebbe scrivere il suo primo romanzo, è stato abbandonato dalla madre da piccolo e suo padre è in prigione, lui si arrangia come può tra lavoretti saltuari e ciò che resta dell’azienda agricola del padre; Haemi è una giovane che lavora part-time come ragazza-vetrina davanti ai centri commerciali; infine, Ben è un figlio di buona famiglia, ricco, annoiato, vive nel quartiere bene di Seoul, gira in Porsche e confessa di ingannare il tempo in modo molto particolare, dando fuoco alle serre abbandonate alla periferia della capitale. Dopo un fulmineo flirt con Jongsu, Haemi parte per un viaggio in Africa dove conosce Ben, con cui si ripresenta all’aeroporto quando Jongsu la va a prendere. Inizia così uno strano ménage à trois, ambiguo e non consumato, fatto di cene nel lussuoso appartamento di Ben o di pranzi improvvisati nel casale fatiscente di Jongsu, nel quale Haemi sembra muoversi a suo agio e con disinvoltura, mentre Ben mantiene il suo consueto distacco da tutto e da tutti e Jongsu inizia a essere consumato dalla gelosia e dal rancore nei confronti di Ben (È come un grande Gatsby coreano, ce ne sono molti come lui, dice ad un certo punto). Quando Haemi scompare misteriosamente senza lasciare traccia di sé, la preoccupazione e l’angoscia di Jongsu divengono ossessione e, infine, odio violento verso Ben, che potrebbe essere il responsabile della sparizione della ragazza.

Burning è il ritratto di una generazione segnata dall’impossibilità del lavoro (si veda a proposito l’illuminante recensione su sentieriselvaggi.it) e, dunque, assume un valore che va ben aldilà dei confini nazionali per assurgere a rappresentazione di una condizione giovanile che accomuna i paesi ad alto tasso di capitalismo, in cui le nuove generazioni stentano a trovare un proprio posto nel sistema produttivo, se non a costo di una perenne precarietà e privazione di prospettive stabili. A proposito del cinema di Chang-dong si parla di “poetica dell’intruso” (Il cinema dell’estremo Oriente, 2010), i suoi personaggi sono sempre fuori posto come Jongsu, goffo nel muoversi, incapace di dire la cosa giusta al momento giusto e di confrontarsi con l’altro, sempre sulla difensiva e imbarazzato. Al contrario, Haemi è emblema di leggerezza, è come un fantasma, sfuggente nella sua ingenuità e nella sua ansia di soddisfare la fame di “senso” che la brucia e la divora: ciò che la colpisce di più del suo viaggio in Africa è la danza dei Boscimani (che lei stessa replica agli amici mettendo in scena una pantomima) in cui i “piccoli affamati” diventano “grandi affamati”, desiderosi di conoscere il mistero della vita e del mondo. Tra questi due poli, si insinua (un altro intruso) Ben, con la sua ambiguità, il suo atteggiamento di superiorità e strafottenza verso l’esterno, allo stesso tempo affascinante e sospetto, anche lui bruciato (è il caso di dirlo) dalla brama di dare uno scopo a una vita che gli dà tutto e niente allo stesso tempo.

La peculiarità di Burning sta nella scelta registica di Chang-dong, che non dice e non mostra nulla di ciò che lo spettatore ipotizza e sospetta (Haemi e Ben hanno una relazione? gli indizi che Jongsu trova nel bagno a casa di Ben significano davvero ciò che immediatamente pensa lo spettatore? sarà poi vero che Ben dà fuoco alle serre per puro hobby? davvero Haemi e Jongsu si sono conosciuti quando erano bambini?) ma lascia intatti il mistero e l’ambiguità di tre vite consumate nel sogno di una prospettiva di salvezza esistenziale. Il finale aperto, come in quasi tutti i film del regista e pur nella sua crudezza, sembra aprire uno spiraglio in un destino che apparentemente è già segnato e non concede tregua.

 

Burning – L’amore brucia (Beoning)

Regia: Lee Chang-dong

Distribuzione: Giappone, Corea del Sud 2018 (col., 148 min.). Disponibile su MUBI (sub.ita)

                       

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