Uomini e lupi: McCarthy e i Coen raccontano la modernità – Non è un paese per vecchi (J. e E.Coen, 2005)
del prof. Lucio Celot
Vincitore di quattro premi Oscar (miglior film, regia, sceneggiatura non originale, attore non protagonista), Non è un paese per vecchi, tratto dal romanzo di Cormac McCarthy, recentemente scomparso e considerato tra i più grandi scrittori americani, potrebbe essere riassunto in poche battute: è la storia di una caccia all’uomo in cui i tre personaggi principali non si incontrano mai.
1980: Llewelyn Moss (Josh Brolin) è un ex marine spiantato che assiste involontariamente ad un regolamento di conti tra trafficanti di droga al confine tra Texas e Messico e si ritrova per le mani una borsa piena di soldi con cui spera di sistemarsi insieme alla moglie. Inseguito dallo spietato killer Chigurh (Xavier Bardem, vincitore dell’Oscar), Llewelyn tenterà ogni strada possibile per consegnare la borsa alla moglie e sfuggire all’implacabile sicario; contemporaneamente, l’anziano sceriffo Bell (Tommy Lee Jones), ormai prossimo alla pensione, si mette alla caccia di Chigurh sperando di catturarlo e di salvare così la vita a Llewelyn.
Non è questa la sede per parlare diffusamente di McCarthy (Una letteratura che non si occupi della vita e della morte non è letteratura, dice lo scrittore), scomparso meno di un anno fa; basti ricordare qui il suo stile secco, diretto e tagliente; la sua scrittura asciutta, essenziale, al servizio di una riflessione profonda sulla natura violenta dell’uomo, sull’individualismo e sul rapporto tra etica e legge, morale e giustizia.
E siccome i Coen sono “registi-critici”, feroci nel criticare stereotipi, miti e riti della vita americana: i loro personaggi sono la faccia negativa dell’America, l’inverso del mito (come scrive un critico), era inevitabile che si incontrassero con uno scrittore come McCarthy.
Texas, New Mexico, Arizona, California: sono gli stati che segnano il confine tra USA e Messico, una sorta di “ultima frontiera”, uno spazio decentrato rispetto alle metropoli e alle grandi capitali del potere. È uno spazio “a margine”, un finis terrae che il cinema western americano ha raccontato per mitizzare le origini dell’America, un vero e proprio limen, il border popolato da uomini, clandestini, droga, illegalità, criminalità. Questo spazio lontano dallo stato e dalla “giustizia” si fa metafora esistenziale: l’aridità e la vastità di queste terre di confine rimandano all’aridità e alla solitudine dei personaggi della storia raccontata da McCarthy nel romanzo e dai fratelli Coen nel loro film.
In questo contesto, sociale ma anche naturale, possiamo comprendere pienamente il senso del titolo del film (che riprende il verso di una poesia di William Butler Yeats, An aged man is but a paltry thing – Un vecchio non è che una misera cosa) e il personaggio dello sceriffo Bell solo facendo riferimento alla figura dell’esclusione: a soli 56 anni, Bell è un “anziano” perché portatore di un insieme di valori che è incapace di fare presa su una realtà che sfugge ad ogni controllo e ad ogni interpretazione. Bell non riesce ad esercitare un nuovo sguardo critico sul mondo della modernità (perché è esattamente questo il Paese del titolo), i suoi occhi malinconici sono rivolti al passato, perché non sa come guardare il presente: pur avendo combattuto nella seconda guerra mondiale, perduto una figlia e fatto lo sceriffo da quando aveva 25 anni, Bell riconosce che il suo Paese non è più il suo luogo. Non c’è posto (l’America, l’Occidente non è posto) per le generazioni surclassate dalla modernità; Bell si ritira progressivamente da un mondo abbandonato da Dio, nel quale si sente inadeguato, incapace di capire e respingere la barbarie moderna, che si annuncia con i suoi segni (droga, violenza, corruzione, mercificazione). Non puoi fermare quello che sta arrivando. Non dipende tutto da te, gli dice un collega con cui Bell si confida. E chi è che sta arrivando? Anton Chigurh, l’angelo della morte, il Cristo capovolto di cui parla l’Apocalisse.
I tratti alla greca, un caschetto castano decisamente improbabile, l’impassibilità del viso fanno del personaggio un estraneo, un alieno, un fantasma sfuggente e di cui nessuno sa nulla. È un personaggio meccanico: è attento ai dettagli, alle procedure del proprio lavoro (!), è maniacale nel condurre la propria missione (recuperare la valigia con 2.400.000 dollari), è pura prassi, monodimensionale e, soprattutto, incomprensibile. Non ha spessore psicologico, non ha un passato e, quindi, nemmeno un trauma originario (con buona pace di Freud). La cosa paradossale ed inquietante di Chigurh è che si comporta in modo più normato di tutti: mentre Llewelyn mette a repentaglio la propria vita e quella della moglie tentato dal denaro e Bell abdica al suo ruolo, Chigurh ha dei saldi principi, che vanno al di là dei soldi o della droga: è l’unico ad avere un’etica e a tenervi fede. In un’ottica puritana Chigurh rappresenta la punizione riservata a Llewelyn, l’uomo che ha osato troppo, che si è appropriato di un tesoro non suo al quale ha dato precedenza su tutto. Chigurh è il Giudice Supremo, la sua azione ripristina l’ordine, è il temuto Giudizio Universale, è allegoria del futuro imperscrutabile: McCarthy ha ambientato la storia nel 1980, ma l’ha scritta dopo l’11 settembre, è il primo libro che ha pubblicato dopo l’attentato alle Twin Towers. L’11 settembre, la guerra in Iraq, Abu Grahib, Guantanamo, le torture, i bombardamenti sui civili a Baghdad, tutto questo è una “presenza in assenza” nel romanzo (e nel film): se il tema del film è la transizione verso un mondo divenuto incomprensibile, l’attentato alle Torri Gemelle ne è l’apogeo, la piena realizzazione.
Il territorio liminale del Texas, il finis terrae d’America, diventa così il finis mundi: la deriva della società americana è una meditazione sull’imbarbarimento della vita, sulla sua decadenza e sullo sgomento di fronte ad un “nuovo” del tutto incomprensibile. In una delle prime scene, Llewlyn dice Non ci sono lobos (lupi): si sbaglia, perché il paesaggio (desertico e urbano) del Texas è lo scenario da cui emerge la natura belluina dell’uomo, una vera concretizzazione dello stato di natura hobbesiano. Llewelyn non tiene conto della condizione ferina dell’umanità che lo circonda: la storia di Non è un paese per vecchi trasforma la caccia all’animale in caccia all’animale uomo; egoismo e individualismo sono i due fattori che costituiscono il pessimismo antropologico del libro e del film: l’uomo ritorna lupo, ritorna bestia.
E, come bestie, gli uomini si aggirano in un “recinto” che è lo stesso spazio geografico della Storia: apparentemente liberi, in realtà rinchiusi e prigionieri di se stessi. Non è un paese per vecchi è un film che non si può perdere perché ci racconta senza orpelli e ipocrisie lo scenario devastato della nostra modernità.
Non è un Paese per Vecchi (No Country for Old Men)
Regia: Joel e Ethan Coen
Distribuzione: USA 2005 (col., 122 min.).