Anche i disoccupati, nel loro piccolo, s’incazzano… – Lavoro a mano armata (Francia, 2020)
del prof. Lucio Celot
Il genere noir, si sa, l’hanno inventato i francesi, e anche in televisione lo sanno fare molto bene. Certo, questo Derapages (lett., “sbandate”) è tratto dal romanzo Cadres noirs di Pierre Lemaitre, uno dei maestri (nomen omen) più apprezzati da pubblico e critica sia in patria che all’estero, che ha scritto anche dialoghi e sceneggiatura, per cui Arte France Cinéma (la casa di produzione) ha vinto la scommessa sulla riuscita della miniserie prima ancora di cominciare a girarla. In verità, Lavoro a mano armata non è solo noir, ma anche prison e legal drama, visto che nei sei episodi seguiamo le vicende del protagonista prima da disoccupato depresso, poi da detenuto, poi da imputato a processo; e la riduzione televisiva in pochi episodi consente a Lemaitre e al regista Ziad Doueiri (suo L’insulto, 2017, candidato all’Oscar e premiato a Venezia) di mantenere sempre alta la tensione grazie anche ad una serie di colpi di scena che tengono incollati allo schermo fino alle battute finali. Il tutto, dentro una vicenda dal sapore agro dell’attualità, quello della disoccupazione e delle sue conseguenze umane, sociali, psicologiche.
Alain Delambre (un formidabile e tostissimo Éric Cantona – proprio lui, The King, l’ex calciatore del Manchester Utd e dell’Olympique Marsiglia) ha cinquantasette anni, e da cinque è disoccupato dopo un passato da responsabile delle risorse umane in un’azienda che ha ridimensionato il personale a causa della recessione. Senza troppa convinzione, decide di inviare la propria candidatura ad una grande multinazionale francese che sta cercando esperti proprio nel settore della gestione del personale: incredibilmente (a cinquantasette anni si è ormai fuori dal mercato del lavoro), Alain viene contattato per il colloquio; non sa però che la Exxya, azienda che produce aerei e elicotteri da guerra, lo vuole perché sottoponga ad un vero e proprio interrogatorio alcuni dirigenti della stessa Exxya al fine di saggiarne la capacità di rimanere fedeli alla politica aziendale anche in una situazione di stress e di fortissima pressione dall’esterno. Infatti, è previsto il licenziamento di più di mille dipendenti nello stabilimento di Beauvais, e bisogna che la questione sia trattata da una personalità in grado di affrontare con fermezza e freddezza le conseguenze sociali di un taglio di posti così drastico. Per dare maggiore realismo al tutto, il cinico presidente Dorfmann assolda tre mercenari affinché simulino (un “gioco di ruolo”, lo chiama) un’irruzione terroristica negli uffici della Exxya, dove i quadri dell’azienda verranno torchiati da Alain (qui è la finzione che imita la realtà: nel 2005 il presidente di France Télèvisions Publicité, Philippe Santini, organizzò una “presa di ostaggi fittizia” per testare le capacità dei quadri; finì, naturalmente, per essere condannato per violenza intenzionale aggravata). Venuto a sapere che i giochi sono in realtà truccati, Alain non ci sta e scompagina, pistola (vera) alla mano, tutta la messinscena: com’è prevedibile, nulla andrà come dovrebbe (lo capiamo subito dal fatto che Alain ci racconta quanto accaduto guardando dritto nella mdp, rapato a zero e tatuato, presumibilmente da una cella carceraria); o meglio, questo è quello che la sceneggiatura ci fa credere esattamente a metà racconto, nel terzo episodio, quello che fa da svolta all’intera vicenda, i cui colpi di coda sembrano non terminare neppure con lo scioglimento finale. E anche Alain, che in breve diventa il disoccupato più famoso di Francia, non sembra essere soltanto la povera, ennesima vittima del neoliberismo imperante, che infetta e contamina tutto ciò che tocca…
Sono diversi, in Lavoro a mano armata, i riferimenti al cinema: c’è il Charles Bronson del Giustiziere della notte, il Michael Douglas di Un giorno di ordinaria follia, tutto il cinema del “realismo proletario” di Ken Loach (con cui Cantona ha lavorato in Il mio amico Eric), la trilogia del lavoro di Stéphan Brizé. Pur passando, come si è detto, dal noir, al legal, al prison, persino al family drama, la miniserie ha nel tema del lavoro e della (dis)occupazione il proprio perno; le “cornici nere” del titolo originale del romanzo di Lemaitre sono il contesto in cui maturano la depressione, la crisi e la reazione violenta di Alain: la precarietà dei “lavoretti” cui è costretto dopo il licenziamento, l’umiliazione di essere preso a calci da un caporeparto, il rischio di perdere la casa e, all’opposto, lo strapotere del capitale incarnato da Dorfmann e dai suoi uffici lussuosi nel quartiere parigino della Défense, l’indifferenza con cui la legge del mercato schiaccia e condiziona le vite, l’alleanza strisciante tra politica e finanza. Di fronte a tutto questo, sono più che comprensibili gli “sbandamenti” del titolo originale francese di cui Alain è protagonista: sbandamenti emotivi (la rabbia repressa che esplode con gesti violenti), affettivi, relazionali che finiscono per trasformarlo in una persona diversa – e non necessariamente migliore. Perché di fronte alla possibilità di ottenere un “risarcimento” per le sue sofferenze (disoccupazione, carcere, un processo ad alto impatto mediatico), Alain non esita a manipolare perfino le proprie figlie, estorcendo denaro con l’inganno a Mathilde e nascondendo tutta la verità sul finto sequestro a Lucie, che ha anche il compito arduo di difendere il padre di fronte alla Corte d’Assise. Nessuno è innocente, il capitale è un virus che rende tutti colpevoli perché fonde in sé l’ideologia del profitto e quella della guerra, una guerra asimmetrica che giustificherebbe, secondo la bizzarra idea dello stesso Alain, la violenza come “legittima difesa” dalle ingiustizie prodotte dalla legge del mercato.
Alla fine l’equilibrio è solo apparentemente ristabilito: è vero, Alain si ritrova libero (ma grazie ad un accordo con chi voleva combattere), con un lavoro e con un imbarazzante gruzzolo da gestire; ma ha perso la fiducia dell’amata moglie Nicole mentre Lucie, che solo alla fine del processo ha capito come sono davvero andate le cose, non gli parla più. Cosa gli resta? Numeri, cifre: le preoccupazioni di tutti i personaggi sono sempre legate al “quanto”, dal valore dell’appartamento che marito e moglie temono di perdere (630.000 euro), al compenso dell’istruttore che Delambre assolda per insegnargli a sparare (25.000), al costo dello studio di penalisti (60.000), all’anticipo che la casa editrice corrisponde ad Alain per l’esclusiva del libro-intervista (150.000) fino al risarcimento danni che gli viene addebitato dall’ultimo datore di lavoro (100.000). Lo spettro del denaro perseguita Alain anche quando ha ricominciato una vita normale: Ho un lavoro, una donna da riconquistare, una famiglia da ricostruire e…venti milioni di euro da riciclare! I capitalisti puoi anche provare a distruggerli, ma il capitale ti starà sempre col fiato sul collo…
P.S.: la battuta memorabile: – La disoccupazione non giustifica tutto!
– Lo dice solo chi ha un lavoro!
Lavoro a mano armata (Derapages), Francia 2020
Stagione 1 (ep.1-6)
Distribuzione: Netflix