Lettera ad un insegnante sulla sua importanza
di Emanuele Ruoppolo IIF
Se per un istante dimenticherete che non siete impiegati che appongono timbri, e vi concederete qualche attimo di entusiasmo in più, probabilmente non ci vedrete come marionette, ma vedrete centinaia di occhi lucidi, saturi di vita, che pendono da ogni vostro gesto.
Date valore alle nostre identità, e non per ciò che valiamo ma per le cose che ci portiamo, dolori, gioie, sensazioni variopinte. E se non trovate nulla non ci abbandonate, corazze più dure di carapaci talvolta ci avvolgono.
Guardateci di più, scavateci dentro e se altri vi diranno di noi, voi tappatevi le orecchie e non perdiate la curiosità di scoprirci. Non vi fermate a un’insufficienza o una assenza ingiustificata, scappiamo da noi stessi, e in tal caso non ci sono libretti da firmare.
Poi non ci pensate, tornate dai vostri e pensate che voi, che loro, che tutti siete stati o sarete noi. E che altri come voi vi hanno forgiato, e siate quello che non sono stati, e noi lo saremo per quelli che verranno. Siamo i figli di chi vi ha insegnato, siete i genitori, di chi ci troverà al vostro posto. Aiutiamoci.
Siamo blocchi rocciosi, chi marmo, chi tufo giallo, chi ossidiana, chi pietra calcarea, lo scalpello non è solo vostro, ma la vostra arte sì!
E se non è una busta paga che aspettate, lasciate agli impiegati le formalità e la burocrazia, parlateci del mare e del vostro primo amore.
È l’interesse a formare la conoscenza, non la conoscenza a formare l’interesse, lasciate le nozioni ai manuali universitari, fateci amare per portarci a capire.
Se vi parliamo di sonno o di mal di piedi, voi non dateci retta, ma poi pensateci e pensate quanti altri scalpelli siamo tenuti a sopportare e non usate la vostra arte ugualmente con tutti, ma ponderatela, la Gioconda di Leonardo è una sola.
Ci direte che ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria, che il nulla non esiste e che dentro il nostro cuore ci sono camere grandi quanto regge e templi. Non ci permettete di smettere di imparare, di smettere di sudare e sudate. Spremeteci e beviamo insieme il succo, ne abbiamo bisogno entrambi.
Siamo frutti imperfetti di un sistema malato, aiutiamoci a non affondare, siate, in caso di vera emergenza, le nostre scialuppe di salvataggio, non ignorateci, e se non vi importa di noi, se il vostro fine ultimo è ultimare i fini, se un programma è per voi meglio di un viso, un cuore, una mente ed una storia, siete fabbri, cui è stato richiesto un vaso di vetro. Siate differenti più che indifferenti, insegnateci a sognare ed a vivere oltre che a leggere e moltiplicare.
Portiamo con noi sabbia di deserti lontani, aquile alpine e sale dell’Himalaya. Abbiamo mille odori e sapori e colori. Assaggiateci, ma non per scegliere chi vi piace di più. Non perdete la curiosità del bambino esploratore ma usatela con la saggezza dell’attento genitore.
Noi vi osserviamo dalle nostre piccole prospettive, vi ammiriamo, ambiamo ad essere come voi, specchi di conoscenza e di vita. Non vi dimenticate che avanti avete poeti inespressi, e barboni e astronauti, le vostre parole sono ispirazione di liriche e causa di prediche.
Discere sine cognoscere è la morte di Scuola, di cui siete mattoni, e cellule, se una sola di voi degenera è pericolo di morte. La prima volta che vi abbiamo visti, eravamo in lacrime e grembiule, ansimanti e impauriti. Negli anni ci hanno tolto tutto, grembiulini e paure, non le lacrime, valorizzateci e saranno di gioia e tutte vostre. Noi, studenti insipienti, siamo tabulae rasae, sculture in potenza di artisti che hanno in mano il futuro. Voi.
Beh, c’è poco da dire…grazie Emanuele!
da leggere la mattina prima di entrare in classe. grazie
Grazie, Emanuele.
Spero tanto che questa lettera si diffonda, a professori ma anche ad alunni. È anche per noi formativo qualche volta mettersi “dall’altro lato”. Sei speciale.
Grazie,Emanuele,
parole magiche le tue ,hai dato voce a tanti studenti che questa lettera, forse,
l’hanno già scritta tante volte con i loro sguardi.Hai dato voce a quegli occhi silenziosi.
Elvira Pica
Sei quello che sei
Davvero bella, purtroppo abbiamo anche il dovere di prepararvi ad affrontare una selezione che sarà basata sulle vostre conoscenze.
…l’ispirazione non è un privilegio esclusivo dei poeti o degli artisti in genere. C’è, c’è stato e sempre ci sarà un gruppo di individui visitati dall’ispirazione. Sono tutti quelli che coscientemente si scelgono un lavoro e lo svolgono con passione e fantasia. Ci sono medici siffatti, ci sono pedagoghi siffatti, ci sono giardinieri siffatti e ancora un centinaio di altre professioni. Il loro lavoro può costituire un’incessante avventura, se solo sanno scorgere in esso sfide sempre nuove. Malgrado le difficoltà e le sconfitte, la loro curiosità non viene meno. Da ogni nuovo problema risolto scaturisce per loro un profluvio di nuovi interrogativi. L’ispirazione, qualunque cosa sia, nasce da un incessante “non so”.
Di persone così non ce ne sono molte. La maggioranza degli abitanti di questa terra lavora per procurasi da vivere, lavora perché deve. Non sono essi a scegliersi il lavoro per passione, sono le circostanze della vita che scelgono per loro. Un lavoro non amato, un lavoro che annoia, apprezzato solo perché comunque non a tutti accessibile, è una delle più grandi sventure umane. E nulla lascia presagire che i prossimi secoli apporteranno in questo campo un qualche felice cambiamento… Wislawa Szymborska.
… il dovere non c’entra . È solo questione di passione che non passa, anzi resta come seme e radice prolifica per tutta la Vita. Bravo Emanuele
Concordo. Un’esistenza senza domande e senza passione non ha senso; si è giovani quando non si smette mai di emozionarsi e di sognare, qualunque sia la nostra età e la nostra occupazione nella vita.
Emanuele grazie di cuore per queste parole che regalano un senso al nostro lavoro così spesso bistrattato. A volte mi chiedo cosa si coglie di noi oltre il ruolo necessariamente un po’ imbrigliato e compresso del docente in cattedra. Eppure voi ci osservate giorno dopo giorno, anno dopo anno, e alla fine magicamente scopriamo che vedete molto di più di quanto noi immaginiamo. In fondo aveva ragione Platone quando diceva che dietro l’insegnamento e la ricerca del sapere c’è un rapporto erotico. Tra l’alunno ed il docente si stabilisce una strana relazione, un po’ schiva e piuttosto riservata: ci si conosce più intimamente di quanto non possa sembrare, ma il rapporto in apparenza resta sempre formale. Eppure ognuno lascia un segno profondo. Noi, come tu dici, siamo i vostri scalpelli, ma anche ogni studente per il suo insegnante è un mondo a sé, lascia una traccia, ci regala qualcosa. Vi prendiamo ancora ragazzini e vi salutiamo adulti, accompagnandovi nella vita. Quando saluto una classe d’esame mi viene sempre da immaginare come sarà ognuno da grande: i suoi sogni, i suoi traguardi, le sue gioie e le sue delusioni. L’insegnamento non è un lavoro come gli altri, si trasmette ciò che si è, non ciò che si sa, ed ognuno di voi per noi è un dono speciale e magnifico, unico ed irripetibile, anche quando ci vedete brontolare e sgridarvi, anche quando ci fate perdere la pazienza. Le tue riflessioni mi fanno sperare che non tutto è perduto, che c’è ancora spazio per la ricerca, per la crescita personale, per le relazione umane in una società dove tutto, anche il sapere è ridotto a merce. Grazie ancora…