Alle origini di un’epopea criminale: nella mente del serial-killer.

del prof. Lucio Celot

Scrittore di crime “incondizionatamente” consigliato dal maestro Stephen King, Shane Stevens ha lasciato una manciata di romanzi, tra cui questo Io ti troverò (By Reason of Insanity, 1979) che secondo la critica avrebbe inaugurato la figura del serial killer in letteratura. Nume tutelare di scrittori come lo stesso King, Ellroy e Connolly, Stevens non ha solo scavato nel profondo della psicologia umana per trovarne le radici di comportamenti efferati ma ha anche raccontato l’America degli anni ’70 e il loro lato oscuro: l’imperialismo nel sud-est asiatico, la corruzione politica, l’amministrazione Nixon e il Watergate, la crisi energetica del ‘73 fanno da sfondo alla storia di Thomas Bishop e dei suoi terrificanti crimini.

            Io ti troverò è, in verità, un romanzo corale: nelle quasi ottocento pagine dell’edizione italiana si affollano tantissimi personaggi, tutti interessati, sia pure per motivi e scopi diversi, a catturare e liquidare l’inafferrabile psicopatico evaso da un manicomio criminale le cui vittime sono giovani donne dei cui corpi Bishop fa letteralmente scempio; e tutti loro contribuiscono a comporre il quadro di un’America paranoica, impaurita, corrotta, in cui pochi si salvano e la maggioranza ha ingombranti scheletri nell’armadio da nascondere. Persino i giornalisti liberal, celebrati da Tutti gli uomini del Presidente di Pakula (1976) come gli eroi della democrazia a stelle e strisce, non sono migliori dei politici contro cui imbastiscono le loro martellanti campagne di stampa.

            Così, troviamo il poliziotto di provincia che inizia a sospettare che l’identità del ricercato non sia quella che tutti credono, lo sceriffo di contea interessato solo a fare carriera politica, il senatore che cavalca la cronaca dei delitti di Bishop per riproporre la reintroduzione della pena di morte in California e mirare alla carica di Governatore, il direttore di giornale che punta a soffiare le indagini alla polizia per aumentare la tiratura, il criminologo che ha capito tutto ma che nessuno ascolta, l’ex galeotto che si è apparentemente rifatto una vita all’insegna della legalità. Su tutti spicca Adam Kenton, un giornalista d’inchiesta particolarmente abile, cui il direttore del “Newstime” (il nome della testata è fittizio) affida un compito segreto e ai limiti dell’impossibile: scovare prima della polizia l’identità del serial killer che, dopo una serie di peregrinazioni attraverso gli States, è giunto a New York dove si è stabilito e ha già iniziato una nuova, sanguinosa mattanza. Kenton ha carta bianca: contatti, denaro, collaboratori. Ma sa anche che, se fallirà, la sua brillante carriera di giornalista investigativo si chiuderà: per questo, cercherà di mettersi al sicuro con un’indagine parallela sul senatore Stoner e sui suoi loschi traffici.

            E tra Kenton e Thomas Bishop, il serial killer, lo stratega freddo e geniale che non commette errori e che sconvolge un intero paese con i suoi delitti, che ricorda tanto L’uomo della folla di Poe, nell’arco di quattro mesi si gioca un’autentica partita a scacchi (gioco in cui, peraltro, Bishop eccelle) che si concluderà nella Grande Mela. Evaso dal manicomio, e grazie ad un ben congegnato stratagemma che i poliziotti non riescono a scoprire ma che solo Kenton intuisce, Bishop sfugge incredibilmente alle ricerche costruendosi sempre nuove identità e riuscendo così a soddisfare la sua insaziabile e disperata follia omicida. Se la prima parte del romanzo, quella più attenta alla dimensione psicologica, molto analitica e approfondita, è tutta incentrata sulla storia personale di Thomas e del suo rapporto con una madre malata e violenta; se la seconda, più corale, si sofferma invece sulla risonanza e gli effetti che le imprese del killer hanno sulla politica e sul giornalismo (è questa la parte in cui Stevens approfondisce la critica nei confronti dell’american dream e del suo fallimento), è nell’ultima parte che, fatalmente, i due protagonisti principali portano la vicenda all’epilogo secondo i canoni più classici della detection story: il ritmo accelera, la lucida follia dell’assassino progetta una strage in grande stile (un hotel per sole donne!!!), il giornalista ha un’intuizione vincente e, finalmente, nello showdown che chiude il romanzo tutto si consuma.

            Autentico viaggio nei meandri di una mente malata e studio genealogico di una psicopatologia, ispirato alla vicenda reale del pluriomicida Caryl Chessman e al dibattito che seguì la sua condanna a morte, Io ti troverò è considerato il migliore tra i (pochi) romanzi di Stevens: la ricerca delle origini del Male che si è annidato in una psiche malata si accompagna all’innegabile abilità dell’autore a tenere insieme i protagonisti di una storia corale senza sfilacciamenti nella trama e a fare delle imprese di Bishop il fuoco verso cui convergono, come in un malefico gorgo che tutto attira a sé, le vite dei personaggi coinvolti. Se Bishop è, a venticinque anni, ancora lo stesso bambino senza padre che veniva punito sadicamente da una madre squilibrata, Kenton, lungi dall’essere l’eroe positivo che tutti credono, deve fare i conti con un’America in cui conta un’unica cosa, il Potere. Potere della politica, potere dei media, potere del maschio, potere del denaro; un potere assoluto e proteiforme, fine a se stesso, del tutto indifferente agli uomini e al tempo in cui viene esercitato; potere con cui necessariamente si deve patteggiare per rimanere a galla e conservare quel po’ di dignità che resta. È anche per questo che, forse, c’è un pizzico di invidia negli occhi di Kenton quando incrocia lo sguardo di Bishop, ormai consapevole della morte che l’attende. Il folle, ora, è finalmente libero; a lui, l’eroe, tocca ancora una vita di compromessi.

 

Shane Stevens, Io ti troverò, Fazi 2016

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