Gli ultimi Re di Napoli
di Ciro Savarese II H
Recentemente mi è capitato di vedere alcuni film storici (“In nome del Papa Re”, “In nome del popolo sovrano”, “Nell’anno del Signore”, “Il Sacro Soglio”) etc. … di un grandissimo regista, che adoro: Luigi Magni. E tra questi, mi sono imbattuto nel film “O Re”, dedicato a Francesco II di Borbone (interpretato da un grande Giancarlo Giannini) e Maria Sofia (una splendida e bellissima Ornella Muti). Sono rimasto letteralmente rapito da queste due figure: quella pacata e dignitosa del Re e d’altro canto quella forte e ricca di passione della Regina. Quindi mi è venuta l’idea di iniziare un percorso storico sull’Unità d’Italia, che durerà fino a Marzo, in cui analizzeremo fatti e personaggi, iniziando proprio dagli ultimi Re di Napoli.
Francesco II di Borbone nasce a Napoli il 16 gennaio 1836, da Ferdinando II e Maria Cristina di Savoia. Abbiamo accennato prima al padre definendolo una imponente figura (pensiamo che fu soprannominato “Re bomba”), ma è in particolare la madre che, seppur morta pochi giorni dopo aver messo al mondo Francesco, esercita sul figlio l’influenza maggiore.
Riporta Harold Acton nel suo libro “Gli ultimi Borboni di Napoli”: «Per due anni Ferdinando e Maria Cristina avevano invocato dal Cielo un figlio (…). La regina soffriva e pregava in silenzio, ma a tutti era visibile il suo pietoso pallore. Alla fine, poi, le suppliche vennero esaudite (…). Il Re era esultante. A una nobildonna, che era stata sua dama d’onore, Maria Cristina scrisse: “Non ti pare curioso che io vado a diventare mamma? Quanto mi piacerebbe farti conoscere quel piccolo marmocchio”. In realtà, a dispetto delle frasi scherzose, ella tradiva spesso una recondita melanconia e trascorreva sempre più tempo nel suo Oratorio.» Questa melanconia è probabilmente dovuta al fatto che la Regina, date le sue precarie condizioni di salute, presagisse una fine tragica dell’evento (come d’altra parte avvenne). Tanto è vero che Maria Cristina scrive prima alla sorella Maria Anna, imperatrice d’Austria: “Io mi morrò e voglio lasciare alla mia Maria Anna la cosa più cara che io abbia [l’albo dei disegni del padre, Vittorio Emanuele])”, e poi all’altra sorella Maria Teresa: “Questa vecchia va a Napoli [la regina si trovava a Portici, ma doveva ritornare a Napoli, perché era usanza che l’erede nascesse nella Capitale] per partorire e per lasciarvi la vita”.
Dopo aver dato alla luce il tanto agognato erede, per Maria Cristina inizia una lenta agonia che la porterà alla morte, vissuta con cristiana rassegnazione (le sue ultime parole prima del trapasso sono “Credo in Dio, spero in Dio, amo Dio”) e con umiltà; quest’ultima dote è testimoniata da un episodio molto significativo raccontato sempre da Harold Acton: «Quando una delle cameriere tentò di sollevarla sul letto perché fosse più comoda, le disse di non disturbarsi. “Donerei per Vostra Maestà volentieri anche il mio proprio sangue per sollevarla” disse la donna.
“Carolina”, rispose la moribonda, “non mi chiamare più Regina, perché adesso sono simile a te”.»
Maria Cristina è passata alla storia come la “Regina Santa”; profondamente cristiana e cattolica (come è già emerso), ella, nel corso della sua vita, indaga sulle famiglie di Napoli, per conoscere il loro stato economico, e laddove necessario, lascia somme di denaro anonimamente e all’insaputa di tutti, finanche delle famiglie interessate. E’ stata dichiarata Venerabile dalla Chiesa nel 1859, sotto il Pontificato di Pio IX, e recentemente, nel 2013 sotto il Pontificato di Papa Francesco è stata dichiarata Beata.
Abbiamo dedicato tutto questo spazio alla Regina Maria Cristina, perché come già detto, la sua influenza sarà fondamentale per la vita di Francesco, soprattutto nel rapporto con la sua futura moglie, come vedremo.
Soprannominato dal padre Ferdinando II “Lasagna” (questo soprannome può derivare sia dal suo viso allungato, che dal fatto che egli amasse particolarmente questo piatto), per Francesco, appena ragazzo, viene scelta come moglie Maria Sofia di Baviera, molto amata dal popolo per il suo anticonformismo. Il matrimonio si svolge l’8 gennaio 1859 per delega a Monaco, e da lì la nuova principessa duosiciliana parte per
Bari. Nonostante il negativo parere dei medici, Ferdinando II decide di partire per accoglierla a Bari, dove arriva stremato. E’ a letto, quando Maria Sofia arriva e, nel primo incontro, Ella rimane commossa dall’atteggiamento del suocero che istintivamente si slancia in un abbraccio.
Diciamo innanzitutto che non si possono immaginare due persone più diverse dei due sposi; Maria Sofia è una donna libera (la sua più grande passione è l’equitazione), irriverente, coraggiosa e pragmatica (lo vedremo nell’assedio di Gaeta); Francesco è invece un uomo timido, pieno di scrupoli, assolutamente incapace di prendere decisioni immediate, apatico (di quella apatia propria di chi disprezza il mondo terreno per dedicarsi solo alla conquista di un posto in Paradiso).
Sappiamo di certo che la prima notte di nozze fu tutto fuorché idilliaca: Raffaele De Cesare (giornalista del Corriere della Sera e Senatore dal 1910 al 1918, autore de “La fine di un Regno”, riguardante il Regno delle Due Sicilie) racconta che Francesco, una volta informato del fatto che la moglie si fosse coricata, abbia iniziato a dire il Rosario finché ella non si fosse addormentata (e così per le sere successive). Marie Larisch, nipote di Maria Sofia, scrive nelle sue memorie “My past” di un increscioso contrattempo: “La giovane sposa venne fatta coricare dalle sue dame di corte, con grandi cerimonie. E, poi, dopo che il Re l’ebbe raggiunta, le porte della Camera vennero chiuse da un alto funzionario, che portò le chiavi con sé. Disgraziatamente il re aveva mangiato troppo al banchetto di gala e durante tutta la notte si sentì male. Poiché nella camera da letto
non vi erano campanelli, non è difficile immaginare il disgustoso spettacolo che si presentò ai funzionari quando al mattino aprirono le porte”.
In realtà Francesco, dato il faro guida dell’allora presunta santità della madre, tendeva a sfuggire dinanzi ad ogni occasione di peccato o impurità. E dunque, l’unione con la moglie, benché assolutamente legittima da un punto di vista strettamente religioso, era da lui concepita in questo senso come un qualcosa da evitare.
Arriviamo velocemente al 22 Maggio 1859, data in cui Ferdinando II muore, lasciando di fatto il Regno al figlio. Prima di morire egli fornisce a Francesco dei consigli riguardo il comportamento da tenere: in primis evitare un’alleanza col Piemonte o con l’Austria e considerare lo Stato Pontificio come baluardo esterno. Per quanto riguarda la politica interna gli indica le persone di cui fidarsi e quelle da cui diffidare. E Francesco si fiderà della persona sbagliata: il Principe di Satriano e duca di Taormina, Generale Filangieri. Costui in qualità di primo ministro, fa valere la sua età (settantacinque anni) contro quella del giovane Re per imporre le due decisioni: decisioni che porteranno allo sfacelo. Filangieri, viene ritenuto, anche se non il principale responsabile, sicuramente l’unico che avrebbe potuto salvare la dinastia e che invece l’ha irrimediabilmente condannata a perdere il trono.
Se Machiavelli affermava che si deve guardare alla “realtà effettuale della cosa”, che un Principe deve “imparare ad essere non buono e a usarlo e non l’usare secondo le necessità”, ad “essere golpe (…) e lione (…)” e infine ad essere “simulatore e dissimulatore”, ebbene, Francesco è l’esatto opposto di tutte queste cose.
E affronta la perdita del regno, seppur in modo triste, con cristiana rassegnazione alla Provvidenza, mentre sua moglie Maria Sofia non si rassegnerà mai. Ciò appare evidente nell’assedio di Gaeta. Dopo la battagl
ia di Capua, conclusasi il 2 Novembre 1860, rimane al Re Francesco solo la fortezza di Gaeta. E qui straordinario è il coraggio e la forza d’animo di Maria Sofia.
In una lettera di risposta di Francesco II ad una richiesta di capitolazione di Napoleone III si legge: “Come posso io capitolare, quando da ogni parte i governi mi incoraggiano a resistere? Sono vittima della mia inesperienza, dell’inganno, dell’audacia di un ambizioso potente; ma non ho smarrita la fede nella protezione di Dio e nella giustizia degli uomini. Il mio patriottismo ora è il mio diritto, e per difenderlo, se fa d’uopo, debbo seppellirmi sotto le fumanti ruine di Gaeta … ho fatto ogni sforzo per persuadere Sua Maestà la Regina a separarsi da me, ma sono stato vinto dalle sue tenere preghiere e dalle generose sue risoluzioni. Ella vuol dividere meco sino alla fine la mia fortuna, consacrandosi a dirigere negli ospedali le cure degli ammalati e dei feriti. Da questa sera Gaeta avrà una suora di carità in più”.
Maria Sofia è attivissima nelle cure dei soldati e il suo animo non si piega neanche dinanzi a scene inenarrabili, pur mantenendo intatta la sua sensibilità.
Scrive Acton: «Una notte un ferito avvertendo l’approssimarsi della morte, pregò la monaca in servizio di chiamargli la Regina. Gli fu risposto che Maria Sofia dormiva, estenuata dalle fatiche della giornata. Cionondimeno la sua cameriera che sapeva come ella fosse disposta anche a gravi sacrifici pur di appagare i desideri dei feriti, volle svegliarla: in gran fretta la Regina corse dal moribondo che ormai quasi senza respiro le sussurrò: “Vorrei lasciare a mia moglie quel poco denaro che sono riuscito a risparmiare, ma sono convinto che non le arriverà mai se non se ne incaricherà Vostra Maestà”. Con le lacrime agli occhi, la Regina promise di fare quanto le veniva chiesto e ringraziò il soldato per quella prova di fiducia. Una fiducia intima e profonda, della quale ella avrebbe avuto molte altre dimostrazioni.»
Ma vi è un altro episodio (risalente all’inizio del tiro combinato dal mare e dalla terra da parte dei Piem
ontesi) raccontato da Charles Garnier , che ci fa comprendere nel profondo il grandissimo coraggio di quest
a Regina, immeritatamente senza trono: “La Regina voleva salire sino alla Batteria Ferdinando, sebbene
il Re non intendesse permetterglielo. Allora ella chiamò in causa il
Generale Schumacher il quale si improvvisò suo avvocato e finalmente riuscì ad ottenerle il permesso, assumendosi la piena responsabilità. Maria Sofia fu accolta dai cannonieri con le più ardenti manifestazioni di affetto; quanto ai Piemontesi, le diedero il benvenuto alla loro maniera. (…) La graziosa Regina osservava il combattimento e si esponeva al fuoco con quel coraggio di cui si parla in tutta Europa (…)”
A partire dal 25 Gennaio 1861 si hanno i primi casi di tifo, epidemia che si diffonde in tempi molto rapidi, mentre il 4 Febbraio inaugura una serie ininterrotta di esplosioni.
Il Re, conscio ormai che la resistenza è giunta alla fine decide di trattare col Generale piemontese Cialdini e il 14 Febbraio 1861 salpa da Gaeta alla volta di Roma, per un esilio che lo accompagnerà fino alla morte.
Commovente è il suo proclama di addio rivolto ai soldati: “Grazie a voi è salvo l’onore dell’Armata delle Due Sicilie, grazie a voi può alzar la testa con orgoglio il vostro Sovrano; e sulla terra d’esilio, in che aspetterà la giustizia del Cielo, la memoria dell’eroica lealtà dei suoi soldati sarà la più dolce consolazione delle sue
sventure … Una medaglia speciale vi sarà distribuita per ricordare
l’assedio; e quando ritorneranno i miei cari soldati nel seno delle loro famiglie, tutti gli uomini d’onore chineranno la testa al loro passo, e le madri mostreranno come esempio ai figli i bravi difensori di Gaeta.
Generali, Uffiziali e Soldati, vi ringrazio tutti; a tutti stringo la mano con effusione di affetto e riconoscenza. Non vi dico addio, ma a rivederci. Conservatemi intatta la vostra lealtà, come vi conserverà eternamente la sua gratitudine e la sua affezione il vostro Re”.
A Roma i due coniugi Reali vengono accolti dapprima dal Papa e successivamente si trasferiscono a palazzo Farnese, di proprietà dei Borbone.
Qui, dopo aver mantenuto un barlume di speranza di riconquistare il trono, attraverso il brigantaggio e le ultime forze legittimiste, quest’ultima letteralmente naufraga sugli scogli della realtà.
Dal punto di vista degli affetti pers
onali, la relazione tra Francesco e Maria Sofia diventa molto più fredda. Durante l’assedio di Gaeta c’era stato un riavvicinamento, dovuto all’emergenza e alla gravità dei fatti contingenti; ma nell’apatia romana, lo spirito ribelle (da regina delle Amazzoni) di Maria Sofia si fa sentire, e inizia a non accontentarsi più delle consuete cavalcate. Ella non può fare a meno di paragonare qualsiasi uomo che vedesse a suo marito, la cui continua fuga da una vita intima diventa per lei snervante: si dice infatti– notizia non confermata – che abbia intrattenuto una relazione
con un ufficiale belga. E ancor più priva di fondamento (anche se non da escludere) è la notizia, riportata da Marie Larisch, che Maria Sofia si sia allontanata da Roma nel 1862, non perché stanca della vita romana, ma per dare alla luce in segreto una bambina, che la stessa Larisch afferma di aver conosciuto nel 1877.
Qualsiasi sia stata la motivazione, questo fu un altro duro colpo per Francesco, che in realtà nutre per sua moglie un profondo affetto. Il suo Primo Ministro (carica solo ufficiosa, naturalmente), Pietro Ulloa, ci riporta questa frase pronunciata dal Re che ben rende il suo stato d’animo: “Il Papa ha ragione quando mi dà il nome di Piccolo Giobbe!”.
Tuttavia nel 1863, per intervento del Nunzio Apostolico a Monaco, Maria Sofia viene persuasa a tornare al fianco di suo marito e da questo momento la loro relazione migliora, come riporta Acton: “A poco a poco Maria Sofia si convinse di non esser la sola vittima di un matrimonio concluso in nome di ideali dinastici. La costante devozione del marito, la sua abnegazione, la sua pazienza e la sua indulgenza finirono col commuoverla, e nel 1869 un felice presagio le imporporò le guance, di solito esangui. Era evidente che la Regina aspettava un bambino.”
Nasce quindi una bambina, Maria Cristina Luisa Pia, che però muore dopo tre mesi. L’evento fec
e sprofondare il Re e la Regina in un tragico sconforto che tuttavia li unì maggiormente. Nel 1870 decidono entrambi di lasciare Roma, avendo perduto definitivamente ogni speranza di riconquistare il Regno, per trasfe
rirsi a Parigi.
Re Francesco II muore nel 1894 in un alberghetto di Arco del Tronto, mentre la Regina Maria Sofia muore nel 1925 a Monaco di Baviera.
Concludiamo dunque questo racconto con una sintesi del comunicato al popolo delle Due Sicilie, che rivela la straordinaria grandezza incompresa di questo Re:
“Popoli delle Due Sicilie (…) si alza la voce del vostro Sovrano per consolarvi nelle vostre miserie … quando veggo i sudditi miei, che tanto amo, in preda a tutti i mali della dominazione straniera, quando li vedo come popoli conquistati (…) calpestati dal piede di straniero padrone, il mio cuore Napoletano batte indignato nel mio petto (…) contro il trionfo della violenza e dell’astuzia. Io sono Napolitano; nato tra voi, non ho respirato altra aria (…) i vostri costumi sono i miei costumi, la vostra lingua la mia lingua, le vostre ambizioni le mie ambizioni. (…) ho preferito lasciare Napoli, la mia propria casa, la mia diletta capitale per non esporla agli orrori di un bombardamento (…) Ho creduto di buona fede che il Re di Piemonte, che si diceva mio fratello, mio amico (…) non avrebbe rotto tutti i patti e violate tutte le leggi per invadere i miei Stati in piena pace, senza motivi né dichiarazioni di guerra (…) Le finanze un tempo così floride sono completamente rovinate: l’Amministrazione è un caos: la sicurezza individuale non esiste (…) Le prigioni sono piene di sospetti (…) in vece di libertà lo stato di assedio regna
nelle province (…) la legge marziale (…) la fucilazione istantanea per tutti quelli fra i miei sudditi che non s’inchinino alla bandiera di Sardegna (…) E se la Provvidenza nei suoi alti disegni permetta che cada sotto i colpi del nemico straniero (…) mi ritirerò con la coscienza sana (…) farò i più fervidi voti per la prosperità della mia patria, per le felicità di questi Popoli che formano la più grande e più diletta parte della mia famiglia.”