Qualcuno era comunista perché Berlinguer non era solo una brava persona… – La Grande Ambizione (A.Segre, 2024)

del prof. Lucio Celot

Di solito si vede la lotta delle piccole ambizioni

(del proprio particulare)

contro la grande ambizione

(che è indissolubile dal bene collettivo)

(A.Gramsci, Quaderni dal carcere)

 

Qualcuno era comunista perché c’era il Grande Partito Comunista

(Giorgio Gaber, Qualcuno era comunista)

           

            La citazione gramsciana apre il film; passano, di seguito, le immagini d’archivio del colpo di stato in Cile e, poi, l’inizio della fiction vera e propria, Berlinguer (Elio Germano) che scampa per un soffio all’attentato a Sofia: il film è già tutto in queste sequenze iniziali, ci sono la congiuntura internazionale (la reazione americana alla vittoria del Fronte Popolare e alla nazionalizzazione del rame da parte di Allende in Cile, il golpe dei colonnelli in Grecia nel 1967) e il Berlinguer eretico inviso a Est, dove non piace l’idea della democrazia progressiva di togliattiana memoria né, tanto meno, il progetto del segretario del PCI di dare l’avvio a quella stagione di solidarietà nazionale che passerà alla storia come “compromesso storico”. Il regista Andrea Segre e lo sceneggiatore Marco Pettenello scelgono il quinquennio 1973-1978 per raccontare la grande ambizione berlingueriana, quella di assicurare ad un paese in bilico tra rigurgiti reazionari, eversione e terrorismi rossi e neri la tenuta della democrazia attraverso un’intesa “tra le forze che raccolgono e rappresentano la grande maggioranza del popolo italiano”, cioè la DC e il PCI; il quinquennio segnato dallo stragismo di matrice neofascista (treno Italicus e piazza della Loggia, 1974) e culminato con l’operazione Fritz, il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro, il presidente della DC pronto a fare entrare i comunisti nel nuovo governo che doveva essere varato proprio nel giorno della strage di via Fani (16 marzo 1978).

Il rischio dell’agiografia, del “santino” (come scrive Luciana Castellina, non particolarmente tenera con il film) era dietro l’angolo; ma, dopo le due ore abbondanti di visione, si può dire che, tranne qualche passaggio (la lettera alla moglie che chiude il film, le “lezioni” di democrazia impartite ai vertici del comunismo sovietico, Breznev compreso, la richiesta alla famiglia di non cedere al ricatto del terrorismo nell’eventualità di un suo rapimento), il film riesce nell’intento, quello di restituire la complessità della situazione interna al partito (non solo il complicato rapporto con la DC e le sue correnti interne ma anche la perplessità degli stessi quadri dirigenti del PCI di fronte alla proposta del compromesso storico), la fragilità della democrazia italiana nel suo momento più basso, il teso braccio di ferro con l’URSS di Breznev all’indomani della relazione di Berlinguer al XXV congresso del PCUS, il dilemma morale di fronte alla scelta di non trattare con le BR per la liberazione di Moro; ma, soprattutto, lo spessore etico e intellettuale del protagonista del film, un uomo che contrappone all’ipertrofico ego di molte primedonne della politica italiana del tempo (Bettino Craxi su tutti, peraltro del tutto assente nel film) un “noi collettivo” (così Guido Liguori, autore di Berlinguer rivoluzionario, nella sua recensione sul “Manifesto”) anche grazie al sostegno (sovente critico) dell’intero gruppo dirigente del PCI di allora (Ingrao, Terracini, Cossutta).

Elio Germano (Enrico Berlinguer) in una sequenza del film

L’equilibrio tra dimensione pubblica e privata (il rapporto con la moglie e i figli), tra fiction e filmati di repertorio e la recitazione mai sopra le righe di Germano contribuiscono ulteriormente alla riuscita di un film che ha il merito di ricordare cos’è stato davvero il comunismo italiano sotto la guida di Berlinguer: un progetto politico di rinnovamento profondo della società italiana sorretto da ideali forti, non utopistici ma realistici e, perciò, graduali. E dunque: nulla a che vedere con quanto, durante tutto il ventennio berlusconiano e nell’era della destra-destra al governo, veniva e viene associato, con becere semplificazioni propagandistiche che rivelano solo l’abissale ignoranza storica e la malafede di chi le pronuncia, alla parola “comunismo”. Che voleva dire, come cantava Giorgio Gaber, uno slancio, un desiderio di cambiare le cose, di cambiare la vita

La Grande Ambizione

Regia: Andrea Segre

Distribuzione: Italia 2024 (col., 123’)

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