I Classici da rivedere #10 Nella Chinatown di Carpenter i fantasmi non fanno più paura… – Grosso guaio a Chinatown (J.Carpenter, 1986)

del prof. Lucio Celot

Quel film è stato il mio omaggio all’amore che provavo verso la cinematografia di Hong Kong. Il pubblico si è diviso: qualcuno lo ha amato, qualcun altro lo ha odiato, di sicuro non si è trattato di un successo commerciale. Dichiarazione eufemistica: per la maggior parte dei fan di Carpenter il film fu una delusione, quasi tutti restarono spiazzati, dopo 1997: Fuga da New York e La cosa (altro fiasco, oggi considerato invece uno dei più significativi film di fantascienza), dallo scoppiettante e frenetico fumettone con cui il regista giocava con i generi, mischiandoli e abbattendone le barriere. Avventura, screwball comedy, kwaidan, kung-fu e un tocco ironico di horror non piacquero a critica e pubblico, evidentemente abituati a una rigida codificazione e separazione dei generi, che stroncarono violentemente la pellicola e ne determinarono il clamoroso fiasco al botteghino. Ancora una volta, Carpenter era troppo avanti. Ma siccome nemo propheta in patria, e in Europa Carpenter è sempre stato più apprezzato che in USA (“un regista buono a nulla”), nel giro di un decennio Big trouble in Little China ha assunto lo status di autentico cult degli anni ’80, visto, rivisto, celebrato in retrospettive e analizzato come un vero e proprio classico.

Come nei precedenti film, l’eroe buono che deve sfidare le forze del male è interpretato da Kurt Russell, qui nei panni di Jack Burton, un camionista rozzo, cinico e disincantato che si trova improvvisamente catapultato in una realtà fatta di apparenze, fantasmi, divinità cinesi e maledizioni antichissime nel sottosuolo della Chinatown di San Francisco. Trovatosi suo malgrado nel bel mezzo di una guerra tra gang, Jack e l’amico Wang Chi assistono all’irruzione del malvagio Lo Pan e delle sue Tre Bufere, guerrieri maghi che lo servono e assistono. Lo Pan è in realtà uno stregone su cui pende una millenaria maledizione, per liberarsi dalla quale deve sposare una ragazza cinese con gli occhi verdi. Insieme all’amico Wang e al saggio sciamano Egg-Shen (guida turistica nel quartiere cinese), Jack affronterà le forze del Male nel regno sotterraneo di Lo Pan per rispristinare l’ordine non solo a Chinatown ma nel cosmo intero…

Mitologia cinese, duelli pirotecnici, mostri che popolano il sottosuolo di San Francisco, pozioni magiche, magia nera, ritmo sostenuto sia nei dialoghi che nell’azione e una buona dose di comicità, affidata al personaggio di Russell: dapprima spaccamontagne scettico e un po’ sbruffone, nel corso della storia Jack fa progressivamente i conti con l’esistenza di una realtà invisibile, nascosta agli occhi dei più ma non per questo meno malvagia. C’è un universo “altro” proprio dietro l’angolo di casa nostra (o, meglio, sotto i nostri piedi) che sfugge alle regole e alle leggi del mondo ordinario e quotidiano (Carpenter è un lettore attento di Lovecraft): l’apparente leggerezza del film non è superficialità ma, al contrario, il frutto dell’interesse che Carpenter andava maturando in quel periodo per la fisica quantistica e per l’ipotesi controintuitiva dell’esistenza di dimensioni spazio-temporali parallele e alternative alla nostra. La magia esiste, dice Egg-Shen nel prologo iniziale, e lo dimostra davanti ad un esterrefatto avvocato che dovrebbe difenderlo dopo che la vicenda si è conclusa e Jack è ripartito con il suo camion; la materia è instabile, il suo incessante movimento di aggregazione e disgregazione può produrre risultati strabilianti e impensabili. Con toni del tutto diversi, decisamente inquietanti, Carpenter affronterà lo stesso tema nelle pellicole successive, Il Signore del male, Essi vivono e Il seme della follia.

Quello che non è piaciuto al suo pubblico e la critica non ha apprezzato è stata, paradossalmente, questa ricchezza di temi e la scelta del registro comico dentro una storia che avrebbe dovuto fare paura; invece, Jack Burton è una sorta di Alice al maschile, ridicolo e spaccone, che si getta in un mondo fantastico in cui i mostri non fanno paura e si possono affrontare con una buona dose di incoscienza e ironia. Un bel carnevale di generi cinematografici, che Carpenter smonta uno ad uno con la sua consueta vena iconoclasta: non a caso, anche il più classico dei cliché hollywoodiani, il bacio conclusivo tra l’eroe che se ne va e la sua bella, viene consapevolmente infranto da un regista nutritosi dei grandi classici della Settima Arte ma che, da sempre, ha fatto della ricerca di un cinema indipendente dalle grandi major la propria personale cifra stilistica e narrativa.

 

Grosso guaio a Chinatown (Big trouble in Little China)

Regia: John Carpenter

Distribuzione: USA 1986 (col., 90 min.).

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