La devastante solitudine della realtà – Estranei (A. Haigh, 2023)
Di Francesca Tierno (3F)
Uno dei film più attesi dell’anno, beniamino dei film festival del 2023, “Estranei” (“All of Us Strangers”, ispirato al romanzo “Strangers” scritto da Taichi Yamada) di Andrew Haigh racconta la storia di Adam, uno sceneggiatore che abita a Londra e che improvvisamente ritrova i suoi genitori, esattamente com’erano prima che morissero in un incidente d’auto. Nell’enorme e silenzioso condominio dove abita, conosce Harry, con cui stringerà una relazione particolarmente intima.
Estranei non è un film qualsiasi: è complesso strutturalmente e tecnicamente ed è molto, molto tormentato. In certi momenti può essere lento, quasi noioso, mentre in altri sconvolge nell’animo e lascia a bocca aperta. Come si parla dell’elaborazione di un lutto così grave, che si va ad intrecciare con la scoperta di sé stessi e del proprio orientamento sessuale, a cui poi si aggiunge un senso di solitudine attanagliante? Sembra impossibile, e forse lo è. Una cosa, normalmente scontata, può dare salvezza: l’altro.
La vicenda di Harry è forse complicata quanto quella di Adam: racconta di essersi sempre sentito al di fuori della sua famiglia, e che questa sensazione ha iniziato ad occupare ancora più spazio dopo il suo coming out. I genitori lo accettano, ma lo hanno completamente escluso dalle loro vite, e lui adesso è solo. Non è un controsenso, far finta di accettare qualcuno e invece tagliarlo fuori, come se nulla fosse? Eppure succede, ogni giorno, nella realtà, non nei film: le conseguenze sono devastanti nella maggior parte dei casi, e sembra che non ci sia scampo dalla sofferenza.
L’esperienza queer è uno dei temi fondamentali di Estranei: Adam ha vissuto la sua infanzia e la sua adolescenza sentendo pienamente il peso della sua diversità, che lo ha fatto ancor di più rinchiudere in sé. Si è sempre costretto a reprimersi, e non si è mai rivelato ai suoi genitori. Harry è più giovane di Adam, eppure la sua storia non sembra tanto diversa, e potrebbe essere anche più drammatica. Mentre Adam convive con il rimpianto di non aver mai detto la verità alla sua famiglia, Harry vive con la consapevolezza di essere diventato una pecora nera rispetto a suo fratello e sua sorella, e di trovarsi al “margine”. Due fasce d’età diverse, due vicende così simili. In questo caso, il film fa davvero riflettere: il progresso è solo un qualcosa di simbolico, mentre nella realtà dei fatti, troppi sono rimasti nel passato.
La solitudine: il punto cardine del film. È attorno a questo sentimento che si sviluppano l’intera trama e le relazioni tra i personaggi. In una società dove mostrare le proprie fragilità è sempre più visto come un segno di debolezza, dovremmo circondarci di amici, persone che siano per noi un sostegno. Anche qui, sembra esserci un paradosso. Adam ed Harry sono due individui che si incontrano per caso, trascorrono del tempo insieme, e poi seguono la propria strada. Siamo nell’età dell’individualismo più assoluto e nessuno riesce a uscire da questo circolo vizioso e anzi, cerca ancora più il distacco dal prossimo.
Adam è un adulto, e non è ancora riuscito ad elaborare la perdita dei genitori, avvenuta quando aveva quasi 12 anni. Harry è un ragazzo giovane, abbandonato a sè stesso. Entrambi hanno un vissuto difficile alle spalle. Le loro vite si incrociano, ma sono davvero destinati ad essere felici insieme? Come accade anche in Past Lives di Celine Song (con dinamiche molto differenti, chiaramente), la vita diventa una questione di scelte. Anche la decisione più piccola, più insignificante, ha un suo peso, una sua conseguenza. Il film lo mostra in modo implicito e nascosto.
Anche gli ambienti hanno una propria importanza, e nulla è mai lasciato al caso: prima di tutto, la città. Sogno di tanti, abitare in città spesso si rivela un’esperienza isolante e dispersiva. È facile perdersi nelle gigantesche metropoli moderne, specialmente se si parla di un luogo come Londra. La discoteca in cui vanno a ballare Adam e Harry: i due sono circondati da tantissimi corpi, non persone, e si abbandonano a sé stessi, a volte insieme, a volte no. Invece, la casa d’infanzia di Adam (la stessa dove abitava il regista, Haigh) e il piccolo sobborgo in cui si trova è piccola, accogliente, calorosa e piena di ricordi, assolutamente in contrapposizione al freddo appartamento dove vive ora Adam. È in questo paesino che si trova l’ambientazione forse più bella tra tutte: un parco gigantesco, a cui il regista dedica una lunghissima inquadratura, in cui l’unica vista possibile è quella degli arbusti e degli alberi.
Da un punto di vista tecnico, Estranei è una meraviglia per gli occhi. C’è un chiaro contrasto tra i colori neutri, come il marrone, il bianco e il grigio, del piccolo paesino da cui proviene Adam, dove si reca per visitare i suoi genitori, e Londra, dove invece coesistono colori vivaci, come il fucsia, il viola, il blu elettrico. I passaggi cronologici vengono evidenziati attraverso espedienti brillanti ed estremamente coinvolgenti: è quasi come essere trascinati in una dimensione onirica ed essere lì, nel pieno della vicenda, insieme ai personaggi. Diventa difficile distinguere tra realtà e invenzione, tutto è avvolto da un alone di mistero.
Ad Andrew Haigh va riconosciuto un enorme merito nella regia, che attraverso numerose e diverse modalità, dipinge perfettamente l’enigmatico sentimento di confusione che permea tutto il film. Per ultimi, i 4 attori principali: Andrew Scott (Adam), Paul Mescal (Harry), Claire Foy e Jamie Bell. Loro, con delle interpretazioni assolutamente meravigliose, sono il cuore pulsante di Estranei. L’espressività per questo film è tutto: non c’è spazio per tanti dialoghi, prevale anzi il silenzio, il che figura una difficoltà ulteriore per un attore: il quartetto è riuscito a superare brillantemente questa prova, trasmettendo tutte le emozioni dei personaggi attraverso i gesti e gli sguardi.
Siamo estranei nei nostri rapporti. Evitiamo il contatto, manteniamo la distanza dall’altro, ci soffermiamo su questioni futili, e tratteniamo la sofferenza dentro di noi. Tutto questo dolore, legato all’esplorazione di noi stessi o alle tragedie personali, prima o poi si accumula e ci fa scoppiare. Credo che questo film sia in un certo senso catartico, sotto diversi aspetti: dall’accettazione di sé stessi, ai rapporti familiari, fino all’elaborazione di un lutto. Un solo elemento accomuna tutti questi motivi: nessuno può essere affrontato in solitudine, nessuno. Ciò che affligge il nostro spirito va condiviso, con i nostri cari, i nostri amici, i nostri partner, affinché la vita non diventi solo un peso che grava su di noi, ma piuttosto una sincera espressione delle nostre passioni, delle nostre ambizioni, dei nostri desideri, dei nostri interessi e tanto, tanto altro ancora.
All of Us Strangers
Regia: Andrew Haigh
Distribuzione: USA 2023 (106 min)