Politicamente: Baciami il c**o, Baby!
del prof. Lucio Celot e di Luigi Iossa (IIA)
Piccolo manuale di “trumpese”, ovvero del populismo linguistico
PoliticaMente – del prof. Lucio Celot
Farebbe bene, chi volesse capirne di più di questi tempi di sovranismo e populismo imperanti, a leggere con attenzione quella straordinaria testimonianza che è LTI – Lingua Tertii Imperii. Taccuino di un filologo di Victor Klemperer, ebreo tedesco costretto a lasciare l’insegnamento di filologia a Dresda dopo l’avvento delle leggi raziali del 1935. LTI è un diario in cui Klemperer annotò meticolosamente le insidiose trasformazioni della lingua tedesca durante l’ascesa del nazismo, sottolineando come il linguaggio in Germania stesse progressivamente diventando specchio distorto e strumento del pensiero e del potere nazista. Il taccuino segreto di Klemperer offre ancora oggi un quadro teorico utile per comprendere le dinamiche, tanto performative quanto inquietanti, attraverso le quali la parola asservita all’ideologia e alla propaganda è in grado di plasmare il pensiero e l’azione collettiva.
Klemperer notò come le parole d’uso comune venivano caricate di nuovi significati, gli slogan ripetuti ossessivamente diventavano verità accettate acriticamente e come intere aree del pensiero venivano semplificate, banalizzate o rese tabù attraverso l’uso strategico del linguaggio. La LTI è una lingua “totale”, smisurata, predilige l’ostentazione, l’esagerazione, il superlativo, la ripetizione ossessiva che “si insinua nella carne e nel sangue della folla” ma allo stesso tempo è povera, rifugge dalla complessità, tende alla semplificazione, è la lingua del fanatismo e dell’eufemismo che cela la vera sostanza delle cose (valga per tutte il lemma Endlösung, “soluzione finale” per indicare lo sterminio di un intero popolo).

La notizia è del 9 aprile 2025: ad una cena di gala con i deputati repubblicani il neopresidente degli USA dice che decine di paesi lo stanno chiamando per negoziare sui dazi e gli “stanno baciando il culo, pronti a fare qualsiasi cosa” (cit.Trump).
Ora, se si esaminano le sortite linguistiche di The Donald attraverso la lente dell’LTI, le similitudini appaiono evidenti. L’uso di slogan accattivanti, l’enfasi sui superlativi, l’identificazione dei nemici, la semplificazione di questioni complesse e l’appello diretto alle emozioni e alla visceralità sono tutti elementi che richiamano le dinamiche linguistiche analizzate da Klemperer nel contesto del nazismo. Trump parla il trumpese, una lingua con un lessico tutto nuovo, una neo-lingua parallela fatta di iperboli, slogan, aggettivi muscolari e nemici sempre all’orizzonte, anche se qui di orwelliano c’è ben poco, siamo più dalle parti del reality show di bassa lega o della stand-up comedy da caserma con venature autoritarie.
Il trumpese è iperbolico e ripetitivo, punta più all’impatto emotivo che alla precisione: huge, tremendous (per indicare ciò che The Donald approva e gli piace), disaster (per screditare paesi, leader politici, programmi politici), fake news (praticamente tutta la stampa d’opposizione), witch hunt (qualunque indagine a suo carico), america first e MAGA; il registro è volutamente colloquiale e “non presidenziale”, anti-establishment, da bar: da qui la volgarità compiaciuta kiss my ass! e le frequenti interiezioni believe me! che spezzettano e disarticolano la sintassi.
Ma il trumpese non è solo questione di lessico, è un’autentica strategia retorica: ripetizione martellante, tono assertivo, ritmo da televendita e ammiccamenti da telepredicatore; non spiega, afferma; non argomenta, convince per stanchezza.

E quando serve un tocco di colore, arrivano l’insulto e l’epiteto che etichettano l’avversario politico: crooked Hillary, sleepy Joe, low energy Jeb e via dicendo. Trump non si preoccupa di sembrare volgare, è volgare. E proprio per questo – paradosso solo apparente – il Presidente appare autentico agli occhi di chi si sente escluso dal linguaggio formale e distante della politica tradizionale. La lingua del trumpismo va annoverata tra gli “idiomi globali” del XXI secolo, è un modello di comunicazione che ha varcato i confini nazionali degli USA accreditandosi come una variante del linguaggio politico-mediatico contemporaneo che ha contagiato il dibattito globale, al punto da diventare un riferimento (anche polemico o parodico) nelle comunicazioni di massa.
Semplice, iperbolico, aggressivo, populista: ma che funziona, almeno in termini elettorali. Non ha tutti i torti The Donald quando ripete ossessivamente we are winning so much, you’ll be tired of winning.
The Italian Job
La parolaccia e il suo effetto inebriante
PoliticaMente – di Luigi Iossa II A
Noi italiani, modestamente, nos only, come disse Silvio Berlusconi a George W. Bush, abbiamo toccato le coste del continente americano per primi, ma abbiamo, soprattutto, esportato un vero e proprio linguaggio politico.
Spesso si può pensare che la cultura e la moda arrivino in Italia in ritardo, invece in questo caso non è così, perché abbiamo anticipato gli States in due diverse occasioni: la prima nel 1994 quando 22 anni prima che lo facessero loro, siamo stati talmente furbi da eleggere per la prima di tre volte un truffatore seriale; e poi la seconda, sempre grazie a Berlusconi, ma anche ad altri politici abbiamo anticipato il vento di volgarità, purtroppo non il “Vento di Passione” per citare Pino Daniele, che spira nella politica attuale.
Cantava Jovanotti “Io lo so che non sono solo anche quando sono solo”, è quello che dovrebbe ripetere Beppe Grillo, fino allo sfinimento, perché non si è ancora accorto di aver trovato, finalmente, dopo tanti anni un nuovo amico, visto che oramai anche i deputati e gli elettori dei 5 Stelle lo cominciano a snobbare, quell’amico è proprio il neo-eletto Presidente degli Stati Uniti d’America, Donald Trump.
Evidentemente li lega una passione profonda e viscerale per quello che, per non essere volgari è chiamato, “ano”.

L’8 settembre 2007 si teneva in diverse città italiane il celebre V-day, o più comunemente noto come Vaffa Day, una manifestazione mossa proprio da Grillo contro la classe politica del nostro Bel Paese, sulla carta sarebbe potuta anche essere una bella iniziativa, alimentata da principi condivisibili e da un diffuso rifiuto della classe dirigente italiana, ma è stata costruita male. Se la forma non è sostanza, la sostanza da sola non basta, i ripetuti “Vaffanculo” di Beppe Grillo erano solo degli allarmi prima della veloce e inesorabile caduta rovinosa del costume politico.
Inoltre 4 anni dopo anche un esponente del centrodestra ci deliziò non solo con un altro esempio di perfetto registro linguistico politico ma anche con una insormontabile figuraccia europea.
Nel 2011, l’allora Premier Silvio Berlusconi, oramai già vicino alla decadenza da senatore, come fu riportato dal Fatto Quotidiano, si pronunciò con alcuni suoi deputati, definendo colei che all’epoca era la cancelliera tedesca, Angela Merkel come una “culona inchiavabile”, cito testualmente.
Ovviamente Berlusconi tentò in tutti i modi prima di occultare la faccenda e poi di smentirla, ma in merito a questa intercettazione sono state tante le voci dissonanti, lo stesso Marco Travaglio direttore del Fatto, che insieme ai suoi colleghi del quotidiano pubblicò questa notizia, nel 2017 ritrattò dell’argomento scrivendo di intercettazioni forse mai esistite o mai confermate: le intercettazioni poi non uscirono (o non c’erano, o furono stralciate per irrilevanza penale)….

Non fu però l’unica becera figura fatta dal cavaliere nei confronti della cancelleria tedesca, infatti appena due anni prima dello sconveniente accaduto della “culona inchiavabile”, l’allora Premier italiano decise, durante il vertice Nato del 2009 di far aspettare Angela Merkel alcuni minuti mentre egli finiva una lunga conversazione al telefono. Berlusconi sostenne poi di aver parlato con il Presidente-autocrate turco Erdogan, ma purtroppo noi di questo non ne potremmo mai avere la certezza. Tornando al tema di partenza, si può notare un vero e proprio filo rosso che lega indissolubilmente Grillo, Trump e Berlusconi, c’è chi lo chiama ass, c’è chi dice culona inchiavabile e chi urla vaffanculo!, ma alla fine si torna sempre a quella parte del corpo.
Sarebbe interessante capire il motivo di questo attaccamento morboso al termine culo da parte di questi abili populisti.
Si è oramai persa completamente la formalità politica, quell’elemento quasi sacro che rendeva ancora la cosa pubblica rispettabile e rispettosa.
È inutile e scontato dire che per fare un eccellente statista, a una buona cura del galateo politico si debba accompagnare un certo pragmatismo e una spiccata efficienza pratica, ma nella realtà politica circostante sembra che siano andate completamente perdute entrambe queste virtù.
Se già nel secolo scorso con la silenziosa D.C. e il partito socialista era completamente decaduto il codice deontologico della politica, oggi abbiamo perso anche il linguaggio, la sobrietà, tanto osannata da Meloni&Co, capisaldi che per lo meno non mancavano a una classe politica ancor più sporca ma almeno apparentemente educata.
Oggi invece tocca fare i conti con il nuovo zio d’America, Donald Trump, chi sa quali altre perle tirerà fuori…
Per chi fosse interessato ad approfondire ulteriormente le vicende trattate: le figuracce di Berlusconi, l’intercettazione de Il Fatto Quotidiano e il V-day può consultare la Sitografia: