“Le Fleurs du Mal” di Charles Baudelaire: la forza salvifica della poesia maledetta

Di Francesca Pia Piantarosa(IIIG)

“Le Fleurs du Mal” di Charles Baudelaire: la forza salvifica della poesia maledetta

Ritenuta una tra le opere più rilevanti della letteratura contemporanea, “I Fiori del Male” del poeta francese Charles Baudelaire è una raccolta di poesie pubblicata nel 1857, capace di ispirare innumerevoli scrittori, contemporanei e posteri, per la suo profonda e struggente visione del mondo.
Fin dall’inizio dei tempi la poesia, così come l’arte in generale, ha sempre avuto lo scopo di esaltare il bello, l’assoluto, l’elegante, finché non si è arrivati alla seconda metà dell’Ottocento; da una parte i Naturalisti e i Veristi che cercavano di fotografare il reale nella sua spietata crudezza, dall’altra i Decadentisti, ancor meglio i Simbolisti, che rifiutavano quella mediocre superficialità come unica verità possibile, distaccandosene completamente.
Lo scoppio della scintilla di questo conflitto artistico-letterario non poteva che incentrarsi nei salotti parigini: se autori come Zolà e Flaubert erano intenzionati a trasformare la scrittura in una scienza esatta, al pari di quelle elogiate nelle Esposizioni Universali, altri hanno sentito l’esigenza di ribellarsi all’indomabile forza del progresso, ai vizi materiali di quella borghesia ormai corrotta e decrepita, denunciando la decadenza dei costumi e dei valori in un impero ormai in rovina. Tra questi, denominati “poeti maledetti”, spicca proprio la figura di Baudelaire: amante del culto estetico, dell’esotismo e del lusso, dispregiatore delle masse e dell’ordinario, è uno dei primi esempi di dandy, figura simbolo dell’immaginario collettivo di quell’epoca.
La sua raccolta custodisce proprio le contraddizioni di questo periodo storico, diviso a metà tra ragione e irrazionalità, profondità e superfice; già il titolo rende il lettore protagonista di questo contrasto ossimorico, un vero e proprio manifesto programmatico attraverso cui Baudelaire presenta lo scopo della sua poetica. I Fleurs sono un simbolo semplice ed universale di bellezza naturale, ma essi provengono du Mal: tutto ciò che genera piacere è ormai contaminato, ma allo stesso tempo ciascun essere corrotto ha in sé un’essenza di beltà primordiale. L’unica possibilità che l’uomo ha per decifrare queste contraddizioni in cui si trova costretto a vivere, è quella di rifugiarsi nella poesia, l’unico mezzo attraverso cui si può sollevare quel velo di Maya e rendersi conto della “fitta foresta di simboli” che circonda le città grigie e fumose. Nelle sue poesie Baudelaire è capace di restituire una dignità a chi non l’ha mai avuta, strappandola a chi ne possedeva fin troppa: le prostitute diventano regine, gli ubriachi dei viaggiatori coraggiosi, la morte una compagna fedele, il vino un filtro sacro e salvifico, mentre la città è sede di noia e gli anziani dei cupi esseri decrepiti. Il male rivela i suoi fiori, i fiori il loro male; qui risiede la grandezza e il genio di questo meraviglioso autore.
I Simbolisti tutti non sono da classificare come semplici poeti, ma come veggenti, mediatori tra il vecchio e il nuovo mondo, tra la contemplazione estetica e l’azione pragmatica. Oggi, come due secoli fa, questa contraddizione nella nostra weltanschauung è più viva ed attuale che mai: in un’epoca dove tutto è digitalizzato, dove le macchine sembrano in grado di emulare l’uomo in ogni suo comportamento, è necessario tenere a mente che l’essenza più pura dell’umanità stessa deriva non dall’artificiale, bensì dal naturale, proprio come i fiori.
Non si può dunque negare che il contributo che Charles Baudelaire ha dato alla letteratura è frutto di una mente estremamente innovativa e visionaria, brulicante di idee che non si possono comprendere con il solo pensiero razionale, ma che alimentano lo spirito selvatico e sanno parlare direttamente alle fibre del cuore umano.

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