Drapetomania

di filo-sofia

Drapetomania – “l’improvvisa urgenza di scappare via da tutto e da tutti.”

 

 

Caro Colin,

ti scrivo questa lettera perché – lo ammetto – sono troppo vigliacca per dirtelo in faccia. Lo sai, mi conosci: non sono mai stata coraggiosa. Quando vado al mare e faccio il bagno non voglio abbassare lo sguardo sui miei piedi perché ho paura di intravedere l’abisso che mi sovrasta, paura di accorgermi di non avere appigli, se non te; paura che qualcosa emerga dal fondo del mare e mi afferri, mi azzanni, mi porti via con sé. Non mi è mai piaciuto dover fare il primo passo, prendere il controllo di una situazione, o iniziare io per prima una conversazione con qualcuno che non conosco.

Ti scrivo questa lettera perché so che, a dirtelo a voce, sarei scoppiata a piangere subito dopo aver visto la tua espressione. Mi conosci, e anche io conosco te: avresti aggrottato le sopracciglia, confuso, e ti sarebbe iniziato a tremare il labbro inferiore. Avresti pensato che è colpa tua, non te lo saresti mai perdonato. Ma non mi avresti mai pregato di rimanere, perché lo sai che non funziona così tra noi due. Non ti saresti mai inginocchiato, non mi avresti mai supplicato, non mi avresti mai detto: “Ti prego, ti amo, non farlo.” Avresti accettato ciò che dicevo con passività, e io mi sarei arrabbiata per questo, e tu ti saresti arrabbiato ancor di più; avremmo litigato, avremmo fatto pace e poi sarei finita col non fare più nulla.

Quindi, prima che mi inizi a pentire di quello che sto facendo, te lo dico senza troppi giri di parole: me ne vado, Colin. Me ne vado, e non so quando tornerò – né se tornerò, in realtà. Ti amo, Colin, davvero, ti amo tanto. E sono ancora innamorata di te: sono due cose molto differenti, ma sono sicura di provarle ancora entrambe. Quando ti stringo la mano, quando intreccio le mie dita con le tue, sento il dolore sfilarmi. Ma ogni volta che mi sveglio avverto una fortissima fitta allo stomaco, ogni volta che riguardo queste pareti e il nostro letto la fitta si fa sempre più forte, più fastidiosa, più frequente. Questa casa mi fa soffrire troppo. Più tempo ci passo dentro e più mi sembra che queste stanze si rimpiccioliscano, che mi stringano a sé e mi sento come sotto la stretta di uno dei predatori più crudeli; questi mobili mi guardano e mi giudicano ogni volta che entro in casa; il nostro letto non mi fa più dormire bene come faceva un tempo e il salone in cui un tempo io e te ballavamo al buio adesso non mi sembra altro che una stanza spoglia, senza luce né l’amore di cui anni fa era piena. Questa città mi soffoca, ho delle catene che mi tengono incastrata a lei e sta diventando troppo difficile camminare con le mani legate e i piedi inchiodati al suolo.

Il mio non è un desiderio, il mio è un dovere: io non voglio andarmene da qui, io devo andarmene da qui. È nella mia natura, Colin. Non posso farci niente, è nella mia anima, nel mio stomaco, nel mio cuore. È un qualcosa che non riesco a mettere a tacere, e quando provo a farlo diventa più forte di prima. Il cambiamento fa parte di me, scappare fa parte di me, girovagare fa parte di me. Me ne vado, scappo via dai problemi e da questa città che prima mi pareva così carina – quasi uscita da una favola Disney – e che ora mi tormenta, mi perseguita persino nei sogni di notte. Non è vigliaccheria, è imparare a pensare, per una volta, a ciò che voglio io, io soltanto, e nessun’altro; perché solo ora mi sono resa conto che ho rinunciato alla mia autorealizzazione per il benessere degli altri. Non riuscivo a capire se la vita che ho vissuto fino ad ora è veramente la vita che voglio o quella che vogliono gli altri per me – ma ora ce l’ho fatta, Colin. Ora l’ho capito, e non voglio rimanere qui un minuto di più.

Mi odierai, mi odierai così tanto che ogni notte ti arrabbierai con te stesso quando il mio volto ti comparirà in sogno. Mi odierai così tanto che, quando qualcuno ti chiederà di me, scuoterai la testa e ti pulseranno le tempie. Mi odierai così tanto che spererai di non avermi mai conosciuta, e non ti biasimo per questo; ma io ti amo ancora, Colin, non avere dubbi su questo! Ti amo ancora e penso che ti amerò ancora per molto tempo, e l’anello che mi hai regalato tre anni fa ce l’ho ancora al dito e non ho intenzione di togliermelo. Ma amare una persona non significa non significa rinunciare alla propria vita e ai propri desideri per quelli dell’altra.

Solo, lascio a te la custodia della nostra vecchia dimora. È egoista come cosa, ne sono consapevole, ma purtroppo ho passato troppo tempo ad accontentare gli altri (ad accontentare, soprattutto, te) perché amo quelle persone. Quindi ora devo lasciarmi guidare, almeno per una volta, dal mio istinto. Devo lasciare che mi porti dove vuole, anche se si tratti dell’ultimo posto sulla faccia della terra. Devo lasciarglielo fare, se lo merita dopo una vita passata in gabbia.

Me ne vado con il corpo, ma sappi che un pezzo della mia anima sarà sempre intrecciata alla tua.

Per sempre tua,

Jaqueline Corcoran.

 

 

 

 

 

 

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