Cosa sta succedendo in Iran: dalla morte di Mahsa Amini alle accuse di Khamanei

di Monica Gatta (IIIF)

È il 16 settembre quando Mahsa Amini, 22 anni, muore dopo tre giorni di coma a Teheran. «Infarto», dicono i documenti ufficiali, ma la famiglia e gli amici non hanno dubbi: Mahsa è morta dopo essere stata arrestata e picchiata dalla polizia morale iraniana, Gasht e Ershad, istituita nel 2005 per controllare l’abbigliamento delle ragazze e reprimerle.
Mahsa è stata punita e poi uccisa per un «cattivo hijab» , una ciocca di capelli le usciva dal velo e quindi non lo indossava correttamente. Le proteste iniziano nella città natale di Amini, Saqqez, in Kurdistan, e giorno dopo giorno si estendono in tutto il Paese. Migliaia di persone, migliaia di ragazze, occupano le strade e le piazze iraniane e al grido di «morte al dittatore» chiedono libertà dove quella delle donne è ai minimi termini.

 

Oltre alle regole ferree legate all’abbigliamento (le bambine di età superiore ai 9 anni devono indossare il velo in pubblico), sono decine le regole che governano la vita delle donne e che le rendono cittadine di serie B. Per esempio: non possono chiedere il divorzio e gli uomini hanno il diritto assoluto sulla custodia dei figli, quelle sposate devono domandare al marito il permesso di lavorare, e anche cantare, ballare, andare negli stadi o viaggiare da sole non è consentito.  La legge sull’obbligo del velo esiste dal 1981, ma sotto il governo di Hassan Rohani, favorevole alla parità, la condizione delle iraniane era molto migliorata. Da quando ci sono al potere gli ultraconservatori Khamenei e Raisi, il Paese ha fatto giganteschi passi indietro in termini di diritti e libertà. Infatti  l’Ayatollah definisce la morte di Mahsa Amini «un triste incidente causato dall’insicurezza che si vive in strada». In questo clima di repressione e menzogna, la polizia di regime soffoca le proteste con la violenza e in solo due settimane si contano 133 morti tra i manifestanti e le manifestanti. In piazza, le ragazze, fiere come guerriere, bruciano i veli simbolo della loro oppressione e si tagliano i capelli in segno di lutto e rabbia, un gesto potente che proviene da un antico rituale iraniano e mediorientale. Forbici di ogni tipo, code tirate verso l’alto e tagliate nei video che diventano virali su Tik Tok, Instagram e Twitter con l’hashtag ormai universale #mahsaamini. Si vedono queste giovani donne ridere, urlare, ballare, spezzare gli argini di leggi senza senso che subiscono da decenni. Coi capelli corti chiedono al mondo di essere viste, ascoltate e aiutate a fermare la brutalità del regime.

Il presidente Raisi ha affermato in un’intervista che occorre fare una distinzione tra proteste e «rivolte». Secondo lui, i governi stranieri e altri movimenti sono colpevoli di manovrare da lontano quelle che loro definiscono «rivolte» fomentate per destabilizzare il Paese. A confermare la tesi c’è anche Khamenei che accusa direttamente Stati Uniti e Israele.

 

Oltre a molti manifestanti e diversi giornalisti, in queste due settimane sono stati arrestati un ex giocatore della nazionale di calcio e un musicista, entrambi accusati di aver postato sui social commenti a sostegno alle proteste. Anche Faezeh Hashemi, figlia del ex presidente iraniano Akbar Hashemi Rafsanjani, è stata arrestata a Teheran. Gli scontri si sono spostati anche dentro le università. La Sharif University, una delle più prestigiose del Paese, è stata circondata dalle milizie.

Venerdì 30 settembre, Amnesty International ha denunciato l’arresto di 9 stranieri considerati «complici», tra di loro c’è anche Alessia Piperno, una donna romana di 30 anni, che, dal carcere, dice di stare bene ma fa un appello disperato alla Farnesina per essere aiutata . La ragazza sarebbe stata arrestata nel giorno del suo compleanno, mentre festeggiava con degli amici in un posto dove, pare, non avrebbero potuto farlo.

 

Secondo la teoria di Giuseppe Acconcia, giornalista e docente di Sociologia politica all’Università di Padova, è molto difficile che ci sia un cambiamento radicale della repubblica islamica e degli assetti di potere dell’Iran, visto che dopo il 1979 gli ayatollah hanno mantenuto stabilmente il proprio potere. Ha poi ribadito che il regime cambi è difficile, anche se è quello che molti auspicano in Iran, quello che però è possibile è che ci sia una riforma che viene dal sistema della repubblica islamica. In quest’ottica si pensa allo stop all’obbligatorietà del velo, all’ammorbidimento delle imposizioni delle leggi e alla restrizione dei poteri della guida suprema. “Il popolo iraniano è giovanissimo e vuole un cambiamento radicale nel proprio Paese”, ha inoltre concluso.

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