E noia sia…

di Carlotta Giuliano (IVD)

Era un giorno normale, di una settimana più che normale, di un mese troppo normale, in cui mi capitò di pensare alla piattezza della mia vita.

Era un po’ di tempo che mi sentivo inutilizzata, senza uno scopo preciso e, per dare un freno a quella eccessiva nullafacenza del mio spirito, vagavo con la fantasia, più che pensare alla realtà.

Ero sul letto. Dormivo? No. Ero sveglia? Neppure. Guardavo, come rapita, il soffitto bianco della mia camera da letto, pensando che in fondo, il soffitto non poteva sentirsi diversamente da me, totalmente e fastidiosamente bianco, di un solo e semplice colore.

Come ogni volta la mia mente fa con leggerezza d’animo, i miei pensieri si spostarono su qualcosa di ben diverso dalla tonalità del mio soffitto, perlustrando anticamere del cervello che non visitavo ormai da tempo, e che immagino come impolverate e abbandonate. Ma per il semplice fatto che mi trovavo in una specie di dormiveglia, non ricordo che pensieri mi si formarono in testa o se effettivamente lo fecero.

Uno di questi minuscoli ricordi, in particolare, prese il sopravvento sugli altri, e quel pensiero riuscì a svilupparsi, quel pensiero che aveva fatto una lunga e tortuosa strada per potermi riaffiorare in mente.

Dal letto di casa mia, mi trovai sulla poltrona a dondolo nel salotto dei miei nonni, in montagna. Ero io su quella poltrona? Evidentemente sì, ma una me bambina, di otto anni, forse. E guardavo la scena con i suoi, i miei occhi, che di lì a poco mi si sarebbe susseguita davanti. In cuor mio, sapevo come sarebbe andata a finire quella familiare scena, ma preferii restare nell’ignoto, come un silenzioso spettatore.

Quella conosciuta bambina si stava silenziosamente lamentando, dimenandosi sulla poltrona, cercando di attirare l’attenzione della madre, che leggeva un libro di fronte. Ma mia madre lasciò correre gli strascichi sgraziati e continuò a tenere occupati gli occhi sul libro. Dopo un po’, quei fluidi movimenti ripetuti convinsero mia madre ad alzare gli occhi.

-Che c’è? – mi chiese lei sbuffando divertita.

Io non risposi.

-Va bene. Puoi dimenarti quanto vuoi ma io non so leggere la mente.

-Mi annoio- risposi fin troppo drammaticamente.

Al che, lei chiuse il libro usando il dito indice come segnalibro e mi disse: – Ti annoi? Vedi che fai bene ad annoiarti. Non trattare la noia come una cosa brutta, usala. Usala per creare qualcosa di nuovo, usala e trasformala in qualcosa che valga la pena fare.

Allora pensai un po’, scesi dalla poltrona e mi avviai verso il laboratorio/falegnameria/studio di mio nonno. Da quel momento poco importa cosa feci, l’importante è che feci qualcosa. Maneggiai con qualche chiodino, oppure guardai e basta, questo non lo ricordo, ma so per certo che feci qualcosa.

Allora, forse, abbiamo bisogno di momenti di noia nella nostra vita, forse abbiamo bisogno di un po’ di assoluto bianco.

Il cervello è la parte del corpo più misteriosa; è il quartier generale di tutti gli apparati e i sistemi. Riusciamo a fare tutte le cose che sappiamo grazie a questo sconosciuto essere, presente in noi. Molto spesso, situazioni che viviamo riportano la mente ad esperienze simili che abbiamo avuto in passato. Gli stessi odori, le stesse sensazioni, gli stessi pensieri…

Come le note musicali: il do può essere sia una nota alta che una nota bassa, per esempio, e ad orecchie non di musicisti possono sembrare due note diverse, se suonate in tempi diversi, ma se suonate in contemporanea diventano un tutt’uno, impossibile da scindere; così sensazioni ed emozioni che si innescano contemporaneamente ci portano a questi, utilissimi se non necessari, flashback.

Un pensiero su “E noia sia…

  • 21 Marzo 2023 in 10 h 49 min
    Permalink

    Complimenti a Carlotta Giuliano
    La sua mano nello scrivere e’ fluida, leggiadra ma che subito cattura, coinvolge e travolge!
    Eccellente lavoro
    Chapeau

    Rispondi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.