I mondi incantati di Miyazaki #1 Sai che c’è? Meglio essere un maiale che un fascista… – Porco Rosso (H.Miyazaki, 1992)

del prof. Lucio Celot

Quando Hayao Miyazaki e Isao Takahata fondarono lo Studio Ghibli nel 1985, l’obiettivo era non solo quello di produrre film di tale livello qualitativo e artistico da attirare un sempre più vasto pubblico ma, soprattutto, quello di fare uscire i lungometraggi d’animazione dal ghetto nel quale da troppo tempo erano relegati. Da allora, le produzioni dello studio giapponese e gli universi creati da Miyazaki sono entrati di prepotenza e a buon diritto nella storia della Settima Arte, e non soltanto per gli incassi stratosferici in patria e nel resto del mondo. Basti solo ricordare che il capolavoro del Maestro La città incantata (2001) è stato il primo, e finora unico, film di animazione a vincere l’Orso d’Oro a Berlino e l’Oscar a Hollywood. Riconoscimenti unanimi sono sempre venuti a Miyazaki sia dal pubblico che dalla critica (cosa alquanto rara); e, a smentire l’annuncio del suo ritiro nel 2013 dopo Si alza il vento, quest’anno è uscito nelle sale (in Italia dal primo gennaio 2024) l’ultima sua fatica, Il ragazzo e l’airone.

Il logo dello Studio Ghibli

Porco Rosso, ovvero Volo, Amore, τέχνη: tra i vertici di questo triangolo si consuma, alla fine degli anni ’20 del secolo scorso, la vicenda di Marco Pagot, aviatore italiano che, durante la Grande Guerra, resta sfigurato dopo una missione con i propri compagni di volo: il suo volto assume le fattezze di un maiale e, da quel momento in poi, Marco diventa Porco Rosso, dal colore del Savoia S.21, l’idrovolante con cui dà la caccia ai pirati che infestano i cieli e i mari dell’Adriatico. Non sappiamo nulla del sortilegio che lo ha trasformato, intuiamo solo che Marco ha avuto una sorta di esperienza di pre-morte durante il volo in cui ha perso tutti i compagni; e, da allora, ha lasciato l’aviazione militare e si è ritirato in autoesilio in un’isoletta della Dalmazia, lontano dagli uomini e dall’amore di Gina, la bellissima donna che ancora lo ama e di cui tutti i piloti di idrovolanti dell’Adriatico sono innamorati. Per fare i conti una volta per tutte con la banda di pirati dell’aria dei Mamma Aiuto, Marco-Porco dovrà affrontare in un duello aereo Donald Curtis, asso dell’aviazione americana con velleità hollywoodiane assoldato dai “cattivi” (che poi tanto cattivi non sono, anzi…) e per questo ha bisogno di rimettere a nuovo il proprio velivolo affidandolo alle mani capaci di Fio Piccolo, una geniale ragazzina di Milano che si rivelerà un’autentica maestra nella progettazione dell’aereo nonché un’amica fidata e complice del solitario eroe dei cieli.

L’Italia e l’Adriatico come sfondo per una crepuscolare avventura romantica: Marco-Porco, che quando non vola indossa un trench alla Bogart, è un personaggio che, proprio come il protagonista di Casablanca, assume connotazioni etico-politiche. Apparentemente cinico e disincantato, combatte contro la prepotenza e l’arroganza dei pirati e, soprattutto, odia il fascismo con cui ha voluto tagliare i ponti, tanto che l’OVRA ne ha fatto uno dei tanti sorvegliati speciali del regime; Marco è un maiale antropomorfo (o un uomo “porcomorfo”???), anarchico e libertario, che ha sfiorato il mistero della Morte e dell’Aldilà, che non ha patria e la cui unica stella polare in un’esistenza di volontario autoisolamento è il codice d’onore degli aviatori (Marco fa sempre in modo di non uccidere durante i duelli aerei ma solo di abbattere il velivolo nemico); preferisce la libertà e il rischio del volo piuttosto che scendere a compromessi con una società improntata al servilismo e all’omologazione. E proprio come il Bogart di Casablanca, anch’egli ha vissuto una sorta di cesura nella propria esistenza che ha sancito un prima e un dopo: l’esperienza della guerra, della perdita dei commilitoni e della sopravvivenza dopo avere oltrepassato il confine tra vita e morte ed esserne tornato indietro (la sequenza che racconta quel momento è narrata con un registro volutamente onirico e sospeso), segnano non solo simbolicamente Marco, che diventa Porco. La metafora è fin troppo chiara.

E poi c’è l’Arte, la Tecnica: Fio, la ragazzina nei confronti della quale Porco inizialmente prova una certa diffidenza e sfiducia sul piano professionale, è il Genio, l’Artista dell’aerodinamica e del Volo, animata dal sacro fuoco del desiderio di perfezione. L’aereo di Porco è disegnato sul modello del Macchi M.33 di fabbricazione italiana e Miyazaki non ha mai nascosto l’ammirazione per l’ingegnere e progettista aeronautico Giovanni Battista Caproni (peraltro, esplicitamente citato in Si alza il vento). Tutto il film, inoltre, sembra essere l’omaggio del cineasta giapponese ai tanti artigiani italiani del cinema e dell’animazione che ammira e con cui ha lavorato: il cognome di Marco, Pagot, è lo stesso di una famiglia di animatori italiani con cui Miyazaki ha prodotto i suoi primi lavori (Il fiuto di Sherlock Holmes).

E già che siamo in tema di omaggi, c’è anche l’amore del Maestro per il cinema classico, con Gina cantante e femme-fatale (Gilda?), Curtis con le fattezze di Errol Flynn e un duello finale tra i due assi dell’aria che si tramuta in un’epica scazzottata in riva al mare…c’è tutto il cinema di Howard Hawks, di John Ford, del Cavaliere Solitario che invece di cavalcare al crepuscolo si eclissa nel cielo con il suo idrovolante, novello Saint-Exupéry dalle sembianze suine. E infine, diciamocela tutta: a noi del Pansini, orgogliosi di portare il nome di un eroe delle Quattro Giornate, uno che dice che è meglio diventare un maiale piuttosto che essere un fascista sta simpatico assai…

Porco Rosso (Kurenai no buta)

Regia: Hayao Miyazaki

Distribuzione: Giappone 1992 (anim., col., 92 min.). Disponibile su Netflix

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