Mimmo Lucano e il modello Riace: una storia di accoglienza ai confini della legge

di Elena Meneganti VH

Poche settimane fa, il 2 ottobre scorso, il gip del Tribunale di Locri ha emesso un’ordinanza di custodia cautelare per il sindaco di Riace Domenico Lucano, detto Mimmo, mettendolo agli arresti domiciliari con le accuse di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e fraudolento affidamento diretto della raccolta rifiuti. L’evento ha subito avuto grande risonanza a livello nazionale: il primo cittadino del borgo calabro era infatti diventato nel corso degli anni un vero e proprio simbolo dell’accoglienza ai migranti, creando nel suo paese un sistema conosciuto in tutto il mondo come il “modello Riace”.

Quest’ultimo, che sarebbe valso al borgo della Calabria il nome di “paese dell’accoglienza”, vede la sua storia cominciare nel luglio del 1998, quando un veliero proveniente dalla Turchia sbarca a poca distanza da Riace Marina. I migranti, curdi in fuga da Turchia, Siria ed Iraq, vengono così ospitati nella chiesa del paese, che al tempo era un borgo di 900 abitanti con case abbandonate e una scuola prossima alla chiusura.

Lucano, allora semplice professore, fonda nell’anno successivo l’associazione “Città Futura” per facilitare l’integrazione dei migranti nel tessuto sociale ed economico locale e nel 2004 diviene sindaco del Comune calabro. Egli permette ai migranti di stabilirsi nelle case abbandonate e iscrive Riace al Sistema di Protezione rifugiati e Richiedenti Asilo, lo SPRAR, che consente al paese di accedere, sulla base di progetti triennali, ai fondi del Ministero dell’Interno al fine di mantenere i rifugiati.

A quel punto Lucano, anziché impiegare i 35 euro destinati a ciascun migrante nel loro sostentamento, decide di utilizzarli per creare borse lavoro da mettere a disposizione di alcune cooperative; queste, a loro volta, se ne servono per pagare i migranti impiegati in una delle botteghe locali che gestiscono. In questo modo Lucano ravviva l’economia locale, incentivando artigianato e attività commerciali, e permette ai richiedenti asilo di essere produttivi ed avere un reddito stabile. In più, grazie al sistema ideato dal primo cittadino di Riace e al contributo dei migranti, il paese vive una vera e propria rinascita: vengono aperti asili e scuole multilingue, ristrutturate case e rifatto l’impianto d’illuminazione del paese.

Poiché però i fondi dello SPRAR arrivano con sei o sette mesi di ritardo rispetto al ripopolamento del paese, come affermato dallo stesso sindaco in un’intervista del 2011, per mandare avanti il sistema che ha messo in piedi Lucano inventa una moneta locale – composta da banconote mostranti i volti di personaggi come Che Guevara, Peppino Impastato e Antonio Gramsci – spendibile solo nelle botteghe di Riace e in seguito convertibile in euro dai negozianti.

Col passare degli anni questo singolare sistema diventa un vero e proprio modello di accoglienza, tanto da essere oggetto di articoli da parte di testate internazionali come il New York Times o il Los Angeles Times, mentre Domenico Lucano conquista nel 2010 il terzo posto nella World Mayor, la classifica dei migliori sindaci del mondo, e nel 2016 viene inserito dalla rivista americana Fortune tra le 50 personalità più influenti al mondo.

Ed è nel luglio dello stesso anno che cominciano i problemi per il primo cittadino di Riace: gli ispettori della Prefettura di Reggio Calabria si recano infatti nel centro SPRAR per accertamenti sulla gestione dei fondi e individuano diverse irregolarità, denunciate poi nel dicembre 2016 dalla Guardia di Finanza.

La Prefettura decide allora di bloccare i fondi al paese e nell’agosto 2017 il Ministero dell’Interno, guidato da Marco Minniti, congela anche le risorse dello SPRAR, immobilizzando il modello di accoglienza.

Per far luce sulla questione di Riace viene pertanto aperta un’indagine, in cui la Procura di Locri ipotizza per il sindaco i reati di associazione a delinquere, truffa e concussione.

E così si arriva alla cronaca di queste settimane: l’indagine è stata infatti conclusa proprio il 2 ottobre scorso con l’operazione “Xenia” – parola proveniente dal greco antico che significa “ospitalità” – che ha posto Lucano agli arresti domiciliari e ha stabilito il divieto di dimora per la sua compagna, Tesfahun Lemlem.

Come anticipato, i reati contestati al primo cittadino di Riace, sospeso dopo la misura cautelare, sono due: il primo, favoreggiamento all’immigrazione clandestina, ha come base un’intercettazione telefonica finita agli atti della Procura in cui Lucano afferma di poter regolarizzare una donna a cui per tre volte è stato negato l’asilo per mezzo di un matrimonio con un abitante di Riace. Matrimonio definito dagli inquirenti “di comodo” e che quindi avrebbe “trasgredito le norme civili, amministrative e penali”. Non solo: Lucano avrebbe anche architettato degli “espedienti criminosi, tanto semplici quanto efficaci” per aggirare le norme nazionali sull’ingresso in Italia.

La seconda accusa, il fraudolento affidamento diretto della raccolta rifiuti, sarebbe nata a partire dalle indagini su due cooperative sociali, la Ecoriace e L’Aquilone, a cui il primo cittadino di Riace avrebbe affidato la raccolta pubblica dei rifiuti senza indire una gara d’appalto e senza che le due cooperative fossero iscritte nell’albo regionale, come invece previsto dalle normative.

Immediata è arrivata la reazione del ministro dell’Interno Matteo Salvini, che già in passato aveva definito Domenico Lucano “uno zero” e che ha commentato la vicenda scrivendo sul suo profilo Facebook: “Arrestato il sindaco di Riace per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Accidenti, chissà cosa diranno adesso Saviano e tutti i buonisti che vorrebbero riempire l’Italia di immigrati! Io vado avanti”.

La risposta di Giuseppe Civati, fondatore di Possibile, al leader della Lega non si è fatta attendere: “Un ministro indagato per sequestro di persona aggravato che festeggia per i reati contestati a quello che lui stesso ha indicato come suo nemico politico. La vergogna non ha limiti”, afferma.

E a criticare il ministro dell’Interno si è unito il vicesindaco di Roma Luca Bergamo, ricordando che “il principio per cui si è innocenti fino a prova contraria si applica a chiunque, anche quando l’autorità giudiziaria avvia procedimenti a carico di rappresentanti istituzionali: come a lei, per esempio, o al sindaco di Riace, Domenico Lucano. Rispettare il lavoro degli inquirenti e dei giudici, cui siamo tutti chiamati anche quando dissentiamo dal loro operato, implica rispettare il principio della presunzione di innocenza fintanto che i fatti non siano appurati in giudizio”.

Hanno mostrato solidarietà al sindaco di Riace anche l’ex presidente della Camera Laura Boldrini e l’attore Beppe Fiorello, che ha interpretato Lucano in una fiction Rai sul primo cittadino non ancora messa in onda.

A favore della sentenza sono invece Giorgia Meloni, Fratelli d’Italia, e il Movimento 5 Stelle, che attraverso il sottosegretario al Viminale Carlo Sibilia ha liquidato la vicenda come un “errore del PD”. Sibilia si è detto inoltre “contento che il governo del cambiamento abbia dichiarato guerra al business dell’immigrazione”.

E non poteva mancare la reazione di Saviano, che in articolo di Repubblica difende Lucano ribadendo che “mai nell’inchiesta leggerete che Mimmo Lucano ha agito per un interesse personale. Mai”, e che il sindaco, disobbedendo, “ha fatto politica nell’unico modo possibile in un Paese che ha leggi inique”, riferendosi alle leggi Bossi-Fini e Fini-Giovanardi che, secondo lo scrittore, bloccano “chiunque decida di accogliere e salvare vite”. Poi afferma che “questo governo, attraverso l’utilizzo politico di questa inchiesta giudiziaria, da cui Mimmo saprà difendersi in ogni sua parte, compie il primo atto verso la trasformazione definitiva dell’Italia da democrazia a Stato autoritario”. Infine attacca Matteo Salvini, dicendo che “agli occhi dell’opinione pubblica si vuole far passare Mimmo Lucano per colpevole e chi ha rubato agli italiani quasi 50 milioni di euro, e chi ha sequestrato persone inermi per bieco profitto politico, no”.

Ma il supporto a Lucano non si ferma alle parole. Il 6 ottobre, infatti, cinquemila persone, tra cui Laura Boldrini, hanno manifestato a Riace per dimostrare solidarietà al sindaco, arrivando sotto la sua palazzina intonando cori contro il suo arresto. Lo stesso Lucano si è mostrato nel pomeriggio ai manifestanti, salutandoli con il pugno chiuso.

Il giorno seguente c’è invece stato un passo falso di Salvini: il ministro, commentando la manifestazione, ha infatti postato sulla sua pagina Facebook un video in cui un riacese, intervistato da un giornalista, “smonta” il modello di accoglienza di Lucano. Peccato che l’uomo interrogato non fosse un “semplice cittadino” ma Pietro Zucco, prestanome di una società confiscata a Vincenzo Simonetti, affiliato alla cosca Ruga-Metastasio.

Due giorni dopo, il 9 ottobre, il ministro dell’Interno ha chiarito assicurando che lui e il suo staff saranno più attenti. Ma, soprattutto, con una delibera ha disposto la chiusura di tutti progetti per l’immigrazione a Riace, stabilendo il trasferimento dei migranti entro 60 giorni e, di fatto, distruggendo il modello Riace. Il leader leghista ha poi motivato la manovra dichiarando che “chi sbaglia, paga. Non si possono tollerare irregolarità nell’uso di fondi pubblici, nemmeno se c’è la scusa di spenderli per gli immigrati”.

Il Comune di Riace ha però fatto sapere di non volersi dare per vinto e di avere intenzione di preparare un ricorso al Tar per sospendere la delibera.

L’ultimo atto della vicenda – almeno per ora – si è consumato il 16 ottobre, quando il Tribunale del Riesame ha revocato gli arresti domiciliari stabiliti dal giudice di Locri a Domenico Lucano, sostituendoli con il divieto di dimora; la compagna Tesfahun Lemlem, invece, potrà tornare nel borgo calabro, anche se con obbligo di firma.

Il provvedimento ha lasciato il sindaco di Riace “un po’ contento perché è come sentire di nuovo la libertà”, ma anche amareggiato. “Cosa sono, un criminale?” si è chiesto infatti, frastornato. E ha già dichiarato di voler presentare il prima possibile ricorso alla Cassazione, anche se dovrà attendere almeno un mese per una decisione.

Anche stavolta figure politiche e non sono intervenute sulla vicenda: da Luigi De Magistris, sindaco di Napoli, è arrivato anche un invito al sindaco di Riace. “Caro Mimmo”, ha twittato infatti De Magistris, “lo so che non lascerai la tua e nostra amata Calabria ma se vuoi ti ospitiamo con amore a Napoli”. E si è accodato anche il sindaco di Palermo Leoluca Orlando, esprimendo solidarietà a Lucano e mettendo a disposizione la sua città per ospitare il primo cittadino del borgo calabro.

Il giorno seguente, infine, partito da Riace, Domenico Lucano ha fatto sapere di aver accettato l’invito di Luigi De Magistris: il sindaco verrà dunque ospitato a Napoli.

Terminata dunque la vicenda, o almeno in attesa di nuovi sviluppi, c’è da fare un’osservazione su ciò che si è mosso intorno a Domenico Lucano da quando, il 2 ottobre, è stato messo agli arresti domiciliari: il caso ha infatti permesso al ministro dell’Interno Salvini di sferrare un nuovo attacco contro l’odiato rivale Saviano, collezionando, se così vogliamo dire, un’altra vittoria.

Perché la scena politica attuale è fatta di questo: scontri tra due schieramenti – che si potrebbero simbolicamente sintetizzare nella disputa Saviano-Salvini – in cui ognuno prova a racimolare un po’ più di consenso o, quantomeno, a non uscire del tutto sconfitto.

I protagonisti di queste dispute sono da individuare tra gli esponenti pubblici delle due correnti di pensiero dominanti nel nostro Paese, in completa e sempre più accentuata opposizione e in costante contrasto. Da una parte abbiamo l’asse pro-governativo, guidato dalla Lega di Matteo Salvini e dal Movimento 5 Stelle di Luigi di Maio, che è riuscito ad unificare Nord e Sud Italia e vanta un consenso politico di oltre il 60%; dall’altra la corrente contraria al Governo, che unisce forze politiche della sinistra, intellettuali, scrittori, giornalisti e personaggi del mondo dello spettacolo e della musica in un fronte comune contro la chiusura sempre maggiore del nostro Paese.

Vari sono già stati gli scontri tra i due fronti, e tutti conosciamo i campi di battaglia più celebri: il ponte Morandi, il caso Diciotti, la querela a Salvini, il Decreto Sicurezza.

C’è dunque da chiedersi: la vicenda di Mimmo Lucano è stata soltanto un altro scenario che ha permesso ai due schieramenti di scontrarsi in un’ennesima battaglia di consensi? Un altro evento che, sollevato il dovuto polverone, tornerà ad assopirsi nel suo piccolo, scomparendo dalla ribalta nazionale e dalle menti degli italiani?

Ebbene no, non lo è stato. Perché al di là degli schieramenti politici c’è un uomo, Mimmo Lucano, un sindaco ribelle che con la sua vicenda giudiziaria pone, insieme al modello Riace, spartiacque tra i metodi di accoglienza e forzatura del sistema previsto dalle norme in Italia, un interrogativo ben più impegnativo di un’opinione politica a tutti noi: siamo disposti a chiudere un occhio sulla legge in nome del benessere della società oppure questa, ora più che mai, deve essere un pilastro stabile, irremovibile e inattaccabile del nostro Paese, per quanto imperfetta in alcune sue parti?

Mimmo Lucano ha già trovato la sua risposta, e ne sta pagando le conseguenze. Ora tocca a noi commentare.

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