Essere donna in una società di uomini: cosa ci ha insegnato Jane Austen dal romanticismo ad oggi?

di Monica Gatta (IIIF)

È inutile negarlo, il lieto fine con il principe azzurro è qualcosa che tutte noi abbiamo sempre desiderato. Sarà colpa dei romanzi rosa o dei cartoni Disney che ci hanno accompagnato sin dalla nostra infanzia ma è da quando siamo piccole che in cuor nostro abbiamo desiderato un finale da “vissero felici e contenti”. Crescendo abbiamo dovuto imparare che la realtà era ben diversa, che nessuno ci avrebbe salvato e che per essere felici mai avremmo dovuto fare affidamento su un uomo perché prima di tutto dobbiamo essere donne libere e indipendenti. Ma Jane Austen il lieto fine ce lo ha concesso lo stesso, le sue protagoniste infatti hanno trovato l’amore e anche un marito. Se l’epilogo dei suoi racconti lo conosciamo, quello che non sappiamo forse è che la scrittrice fu una vera femminista. Nata il 16 Dicembre del 1775, Jane ci ha insegnato ad essere donne in una società di uomini, esattamente quella in cui lei è cresciuta. Una società patriarcale che vede la donna come madre e custode del focolare, una creatura posta sotto l’egida del marito che ha bisogno di protezione perché è il sesso debole per antonomasia. La donna nel XIX secolo vive in una condizione di inferiorità giuridica, economica e politica, una condizione di subordinazione rispetto all’uomo, al contrario l’Europa protestante ci presenta un’immagine di donna dinamica, radicalmente diversa e opposta rispetto al modello dell’Europa cattolica: una donna attiva e socialmente impegnata, che si muove, opera e agisce al di fuori della ristretta cerchia delle mura domestiche, una donna che vive una vita pubblica. Una donna che lotta per l’acquisizione dei propri diritti e prende coscienza della propria condizione. Il 13 Giugno del 1908, più di 10000 donne marciavano per le strade di Londra in maniera pacifica per far prevalere i loro diritti. Il nome di Jane Austen per le suffragette era un vero e proprio simbolo di libertà. L’autrice di Ragione e sentimento era la femminista ideale, lei che era stata una ribelle mascherata all’interno di una società maschilista, senza rinunciare mai al suo essere donna. Jane è vissuta tra il 1700 e il 1800, in un periodo storico dove era impensabile che le donne potessero avere un destino diverso da quello imposto dagli uomini. La letteratura austeniana è fatta di campagne inglesi, tazze fumanti, sontuosi balli in casa ma anche di piccole ribellioni silenziose raccontate dalle protagoniste attraverso matrimoni mancati, situazioni di insofferenza e dialoghi interiori.

La sua silenziosa battaglia contro i diritti delle donne è così evidente proprio nell’incipit di Orgoglio e  pregiudizio:

“È cosa ormai risaputa che uno scapolo in possesso di un vistoso patrimonio abbia bisogno soltanto di una moglie. Questa verità è così radicata nella mente della maggior parte delle famiglie che, quando un giovane scapolo viene a far parte del vicinato – prima ancora di avere il più lontano sentore di quelli che possono essere i suoi sentimenti in proposito – è subito considerato come legittima proprietà di una o dell’altra delle loro figlie.”  

Il matrimonio resta comunque il fulcro di ogni suo racconto perché era impensabile per una donna dell’epoca non sposarsi. Eppure Jane, esattamente come la Lizzie di Orgoglio e pregiudizio scelse di non convolare a nozze soltanto per interesse finanziario. Scelse di restare nubile e dedicare la sua vita alla scrittura. E lei il suo senso di libertà, quella che non gli era stata concessa al punto tale che in vita non vide mai il suo nome pubblicato nelle sue opere, lo ha trasmesso alle eroine dei suoi romanzi. Sono passati due secoli dalla nascita di Jane Austen eppure la sua storia la rende tutt’oggi la scrittrice femminista più letta e amata di sempre.

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