Sulla pelle delle donne: Artemisia Gentileschi: la sua arte e il terribile dramma della sua vita

di Monica Gatta (IIF)

Artemisia Gentileschi è una delle rare donne prese seriamente in considerazione nella storia dell’arte, nonostante non sia ne la prima ne l’unica pittrice donna della storia. Basta sapere che, nel panorama pittorico del 1600, il suo stile e le sue vicende personali la resero famosa persino all’estero. Si perché, nell’Italia del diciassettesimo secolo, Artemisia Gentileschi riuscì a compiere un vero e proprio miracolo, in un campo che è (quasi) sempre stato dominato dal sesso maschile.

Sapevate che è stata la prima pittrice donna ad essere stata ammessa alla prestigiosa Accademia del disegno fiorentina?

Tuttavia, la sua vita non fu affatto semplice. A soli 12 anni, dopo la morte della madre, divenne la “donna di casa”. E solo 7 anni più tardi, la sua vita venne segnata per sempre da un terribile dramma. Ella fu infatti brutalmente violentata da Agostino Tassi, suo maestro di prospettiva, nonché collaboratore del padre presso Palazzo Pallavicini Rospigliosi a Roma. Chissà, forse è stato proprio questo episodio della sua vita ad influenzare la sua arte. Fatto sta che nelle opere di Artemisia Gentileschi si può notare una forte determinazione in quasi tutte le figure di sesso femminile. Vediamo un po’ nello specifico la vita di questa grande donna.

Artemisia Gentileschi nasce a Roma nel 1593: suo padre Orazio Gentileschi, amico di Caravaggio, aveva già una propria bottega ed era uno stimato pittore dell’epoca. Nonostante fosse l’unica figlia femmina della famiglia, crebbe facendo il suo apprendistato con i suoi 6 fratelli presso il padre, in un ambiente molto stimolante per una giovane pittrice. Grazie alla bottega del padre, Artemisia Gentileschi ebbe quindi la possibilità di conoscere e frequentare artisti e letterati e, ovviamente di esserne influenzata. Le doti della giovane non tardarono a manifestarsi: ai suoi 17 anni risale il primo dipinto che conosciamo, Susanna e i vecchioni, che è un’equilibrata sintesi tra il realismo di Caravaggio e le forme dei Carracci.

Ma fu davvero lei a realizzarla?

Oggi alcuni storici stentano a credere che quest’opera sia stata integralmente realizzata dalla ragazza. Sembra infatti che anche il padre vi abbia lavorato. Fatto sta che Orazio, partendo proprio da questo dipinto, non perse l’occasione per promuovere l’arte di Artemisia. La volontà della giovane Artemisia fu tale da spingere il padre ad investire sul talento della propria figlia affidandola ad Agostino Tassi. Egli era già noto a Roma per aver avuto qualche problema con la giustizia ma era anche uno dei più importanti maestri di prospettiva dell’epoca. Inoltre, proprio in quel momento, stava collaborando con Orazio alla realizzazione della loggetta della sala del Casino delle Muse a Palazzo Rospigliosi. Quello che accadde dopo, purtroppo, fu il dramma più grande nella vita di Artemisia Gentileschi. Infatti il Tassi si invaghì della giovane e provò diversi approcci, tutti rifiutati dalla giovane artista. Fu quindi nel 1611, con la complicità di un collega e di un’amica della stessa Artemisia, che riuscì a violentarla nella sua stessa casa. Quello che ne seguì fu un vero e proprio calvario per la vita dell’artista. Il Tassi infatti riuscì ad instaurare una vera relazione per circa un anno con la promessa di sposarla, finché non si scoprì che egli era già sposato con un’altra donna.

E quindi cosa accadde?

Semplice, nonostante il “disonore” e le maldicenze che sarebbero scaturite, Orazio denunciò il fatto alle autorità portando l’affare in tribunale. La deposizione di Artemisia Gentileschi fu fatta sotto tortura, mentre le venivano schiacciate le dita. Essendo pittrice, possiamo solo immaginare quanto potesse essere gravoso per lei dover raccontare un fatto simile rischiando di veder compromesse le proprie mani a vita! La crudeltà con cui raccontò i fatti rende tutta la vicenda ancora più terribile. Esistono infatti ancora oggi delle pagine del suo diario in cui la giovane racconta gli eventi con estrema crudezza. Purtroppo sul conto di Artemisia intanto circolavano molte maldicenze. Si pensa che fu persino sottoposta ad una visita ginecologica per appurare che non fosse più vergine. Ma questo non fece altro che aumentare le voci di rapporti incestuosi con il padre Orazio, di avere numerosi amanti ed una condotta disdicevole. Fortunatamente la giustizia fece il suo corso e, solo un anno più tardi, Agostino Tassi venne condannato a 5 anni di esilio. Artemisia invece fu costretta a lasciare Roma e a sposare un artista fiorentino poco noto, Pierantonio Stiattesi. Questo matrimonio ovviamente fu deciso solo per mettere a tacere le voci e riabilitare la giovane agli occhi della società. Sarà forse un caso, o semplicemente l’epilogo di questa vicenda, ma è proprio nel 1612 che Artemisia Gentileschi dipinse quella che è considerata una delle suo opere più importanti: “Giuditta che decapita Oloferne“.

La vicenda, ad oggi, non risulta comunque molto chiara. C’è chi pensa infatti che sia stata tutta una manovra di Orazio per svalutare il collega Agostino e chi dice che sia stato un piano ordito dagli altri pittori contro la giovane per screditarla. Alcuni asseriscono che per stuprum si intendesse il rapporto, anche consenziente, al di fuori del matrimonio. Secondo questa teoria, Artemisia Gentileschi sarebbe stata consenziente credendo alle promesse del matrimonio e si sarebbe inventata la violenza solo nella speranza di farsi risarcire. La maggior parte della critica tuttavia considera la deposizione di Artemisia come veritiera. Infatti né lei né suo padre avrebbero intentato un processo del genere sapendo che sarebbero stati messi al centro di uno scandalo che poteva compromettere le loro carriere, se non fosse accaduto realmente il fatto. All’inizio della sua carriera, Artemisia Gentileschi, veniva apprezzata soprattutto come ritrattista e per le sue eroine bibliche, ma nessuno le commissionò mai grandi affreschi o importanti pale d’altare. Cosi verso il 1630 si spostò prima a Venezia e poi a Napoli. Furono probabilmente la sua perseveranza ed il suo talento che riuscirono a farle ottenere dei grandi risultati. A Napoli infatti ottenne la sua prima commissione per una chiesa, la cattedrale di Pozzuoli. Mentre, nel 1638 fu a Londra, dove il padre era diventato pittore di corte al servizio di Carlo I. I due lavorarono assieme all’affresco della volta nella Casa delle Delizie di Greenwich della regina Enrichetta. Ma non è tutto. Nonostante gli scandali, infatti, Artemisia riuscì ad intessere rapporti con i personaggi più influenti del suo tempo, a partire da Cosimo II de’ Medici. Fu amica di Galileo Galilei, con cui intrattenne un lungo rapporto epistolare e fu amata dal nipote omonimo di Michelangelo Buonarroti. Ella fu anche una bellissima donna, ed ebbe molti ammiratori. Ovviamente, a causa del suo lavoro “maschile” e per la sua indipendenza, le voci malevole sulla sua condotta continuarono a circolare per tutta la vita e anche dopo. La sua intraprendenza e la sua ambizione la spinsero a lasciare il marito nel 1621 e a tornare a Roma con le sue due figlie. Grazie al suo talento ed alla sua capacità di mantenere ottimi rapporti con personaggi importanti della sua epoca, raggiunse importanti traguardi. Inoltre riuscì a crearsi un proprio stile pittorico seguendo le orme di Caravaggio: le sue figure sono monumentali, espressive, vivaci, quasi teatrali. Ma non basta! Alcuni suoi quadri sono stati perfino letti da un punto di vista psicoanalitico: nella sua prima opera, Susanna e i Vecchioni, c’è chi vede il padre e il suo aggressore, Tassi. Nella Giuditta ed Oloferne, opera di grande violenza, c’è chi legge il desiderio di vendetta della donna contro il suo stupratore. Infine, per quanto riguarda le sue eroine bibliche, spesso affiancate da amiche ed ancelle, si può trovare la sua delusione per il tradimento di Tuzia che permise la violenza e l’accusò in tribunale. Ma nonostante le vicende personali, quello che è sicuro è che fu una pittrice straordinaria, capace non solo di spiccare, ma anche di innovare. Non è quindi un caso che Artemisia Gentileschi sia diventata un autentico simbolo del femminismo. È stata una donna forte, determinata, che si è ribellata alla violenza subita, nonché un’artista indipendente ed emancipata.

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