Un affetto troppo pericoloso – One hour photo (USA, 2002)

di Max D’Alessandro (IIIA)

Il film di Mark Romanek del 2002 mette in scena le vicende di un impiegato di un grosso supermercato, che lavora nel reparto specializzato nella stampa di rullini di fotocamere. Seymour Parris (Robin Williams) da diversi anni fa del suo lavoro una passione, destinata però a diventare pericolosa. Seymour ha diversi clienti abituali: gente di tutti i tipi arriva da lui perché il reparto è il più specializzato nel settore e tra i clienti c’è il classico nucleo familiare felice – Nina, la donna (Connie Nielsen), Will, il marito; Jacob, il figlio – che si affida a Seymour da tempo per sviluppare le foto di famiglia. Lentamente, Seymour si trasforma in uno stalker: aspetta Jacob dopo una partita di calcio o Nina per potersi avvicinare a lei; finisce per immaginarsi di essere un componente della famiglia (lo zio Sy, nomignolo che si autoattribuisce nella sua immaginazione).

La casa di Seymour, spoglia, monocromatica, desolata, rivela appieno la sua solitudine, anche interiore (il film richiama il bianco o i colori spenti, la stessa qualità della fotografia è volutamente abbassata per creare un effetto di squallore e infelicità); ma guardando la parete del suo soggiorno, scopriamo che Seymour conserva ogni doppione di tutte le foto che la famiglia ha fatto sviluppare da lui, le appende alla parete con minuziosa cura perché il suo desiderio è quello di creare una “foto di un’ora” (ciò che oggi chiameremmo slideshow, che all’epoca non era possibile creare digitalmente). Quando Sy viene scoperto e licenziato, entra per ripicca di nascosto nella camera oscura e scopre che il marito di Nina la tradisce con un’altra. A questo punto, Sy, incapace di controllare la sua passione malata, inizia una caccia all’uomo per fare, a suo modo, giustizia in un finale che vedrà materializzarsi il suo “desiderio di famiglia”.

One hour photo è un esempio di metacinema: l’intero film è un rimando al mondo della fotografia e della cinepresa, è cinema che riflette su se stesso, sui suoi stessi mezzi di riproduzione multimediale.  

Sul piano del contenuto, non si può far altro che provare compassione per il protagonista: inizialmente rappresentato come un uomo buono e disponibile, si trasforma in un maniaco stalker mosso dal desiderio di un po’ di affetto e di essere considerato un membro della famiglia, lui che le circostanze della vita hanno privato di famiglia e figli; non vuole mai sostituirsi ai genitori, anzi, quando l’equilibrio viene minacciato da una relazione extraconiugale è disposto a tutto per rispristinare l’ordine familiare. Sy quindi si crea un’illusione per evadere dalla sua triste realtà, nella speranza di trovare così un po’ di felicità.

Quello di Nina è per Sy un nucleo ideale di famiglia, apparentemente tanto perfetta da rappresentare per lui un surrogato di quella felicità che ricerca da tempo, ma che non ha mai trovato: probabilmente nella sua vita non ha ricevuto mai alcuna attenzione né tantomeno affetto, e queste mancanze hanno gravato sulla sua salute mentale, al punto da farlo degenerare lentamente e progressivamente: Sy è da sempre un escluso della società ma anche una persona troppo buona per poter vivere in un mondo senza affetti, senza amore, schiacciato dalla società. È questo vuoto di sentimenti, quest’assenza nella sua vita a provocare in lui gli squilibri che ne fanno un reietto e, agli occhi dei “normali”, un soggetto pericoloso e squilibrato.

One hour photo (id.)

Regia: Mark Romanek

Distribuzione: USA 2002 (col., 96 min.)

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