Le elezioni del 4 marzo

di Alessandro Scarano

Lungi da me atteggiarmi a politologo – d’altronde di questi tempi non è neanche un complimento – le recenti elezioni meritano un’attenta riflessione punto per punto.

Dati alla mano il primo partito è il Movimento 5 Stelle, con il 32% dei voti. È la forza politica che più di altre nessuno riesce a decodificare propriamente: qualcuno parla ancora di forza anti-establishment. Hanno giocato d’astuzia imperniando la campagna elettorale sul diktat “noi governiamo da soli, non ci alleiamo con nessuno”, scoprendo le carte a conti fatti, e rivelando – intelligentemente – al proprio elettorato che ora sono pronti al confronto con altre forze politiche. Il ragionamento ha avuto una sua logica, della quale il Movimento ha saputo approfittare. Rimane la questione della maggioranza assoluta per poter governare il Paese: al Senato bisogna avere 158 seggi e, se la matematica non è una opinione, da soli non ce la si fa. Si prospetta un’asse con la Lega e Fratelli d’Italia, arrivando così a 185 seggi. Alla Camera due sono le possibilità per superare quota 316 per la maggioranza assoluta: M5S + Partito Democratico + Liberi e Uguali oppure nuovamente M5S + Lega + Fratelli d’Italia. C’è chi guarderà a destra, chi invece a L&Uguali come collante e ponte con il PD. Sta di fatto che ora Di Maio e affini hanno il coltello dalla parte del manico.

Il Partito Democratico deve ritrovare la strada, perché per perdersi si è perso, completamente. Si parla delle dimissioni del Segretario Matteo Renzi e sarebbe un atto dovuto. Ma le dimissioni non giustificano il penoso risultato (meno del 20%) di questa tornata elettorale né assolvono il primo partito della sinistra da un ‘mea culpa’ doveroso. Gravano infatti molteplici responsabilità su tutto un gruppo dirigente che non ha voluto/saputo ascoltare i lamenti e le richieste di un’altra anima del partito, e soprattutto, del Paese. Il risultato negativo ottenuto è storico, e questo apre parecchi interrogativi sul futuro di quello che voleva diventare il Partito della Nazione. Bene soltanto all’uninominale: salgono Renzi a Firenze, Padoan a Siena, Gentiloni a Roma; bocciati a Pesaro Minniti e a Ferrara Franceschini. Il 4 dicembre (il referendum), e ora, questo ultimo, fatale, risultato dovrebbero portare fisiologicamente ad un rinnovo completo quanto profondo e ragionato degli obiettivi, delle battaglie da condurre e delle persone a cui parlare.

La Lega ha giocato meglio di tutti. Nella coalizione di centrodestra ha collezionato più consensi di tutti e ora legittimamente chiede spazio politico per governare. Salvini, politicamente, è stato abilissimo: ha ripulito l’immagine di un partito settario, e ha capito perfettamente ciò che gli italiani, che non avevano mai votato Lega, volevano sentire, macinando voti nel Meridione. Linguaggio semplice ma non banale. Quanto ai contenuti, quel tanto che basta per ottenere la fiducia di una grossa porzione di elettorato.

Forza Italia ha dimostrato di essere un avvenente contenitore vuoto, incartato da qualche ricetta liberale. Come riesca Berlusconi a farsi votare, rimarrà un mistero, forse il culto della sua persona. In ogni caso la destra perde un leader che i quotidiani europei accreditavano come moderato e ciò  le consentirà di prendere una piega tutta preoccupante.

Fratelli di Italia si ritrova con un 4,2%. Al di là del risultato, la Meloni avrebbe potuto risparmiarsi certi bigottismi da medioevo, insieme con qualche scivolone sulle teorie gender. Emblematico questo partito per i toni acerbi e deplorevoli della politica italiana di oggi. Peccato per la figlioletta che non ha usufruito, per via di una campagna elettorale spudoratamente teatrale, dell’affetto di mamma Giorgia.

Più Europa non supera la soglia di sbarramento. Liberi e uguali consegue un modestissimo risultato, entrando in parlamento per il rotto della cuffia.

Prova schiacciante della pochezza di questa tragicomica tornata elettorale è Casa pound. Si attesta intorno allo 0,9%. I sondaggisti lo davano al tre per cento, evidentemente contenti di polarizzare l’attenzione del corpo elettorale sull’antitesi fascista/antifascista, a riprova di quanto priva di contenuti ma ricolma di violenza sia stata questa propaganda.

Potere al popolo si attesta al 1,2%, non male per un movimento che nasce dai centri sociali, soltanto tre mesi fa. È un volto nuovo e finalmente pulito quello della capogruppo Viola Carofalo, piaciuto a molti giovani di sinistra. Un volto che avrebbe potuto portare in parlamento un barlume di speranza contrario ad un baratro certo. Ma forse questo ultimo periodo pecca di oggettività.

In conclusione, nessuno ha la maggioranza assoluta, quindi saranno decisive le consultazioni del Quirinale. Ciò potrebbe aprire scenari nuovi, tali per cui qualcuno parla di una neonata Terza Repubblica.

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